UNA SECONDA POESIA CHE POTREBBE PARTECIPARE AL NOSTRO CONCORSO, TEMA: I COLORI DELL'AUTUNNO/FOLIAGE
Una memoria mesta,
Un appassito fiore:
Ecco cosa mi resta
D'un tempo che fuggì!
Felicità sparita.
Non può tornar nel core:
Tornar non può la vita
Del fior che inaridì.
Ohimè, per quale incanto
Tutto in un soffio passa!
Perché sì tosto in pianto
Il riso si cangiò?
Amore è sogno infido
Ch'orma di se non lassa;
Si sperde come grido
Che l'eco non destò.
Sol mi rimani e caro,
Pover fiore, mi sei!
Il disinganno amaro
Rammenti a me così
Sul bello dell'etade
Ogni illusion perdei,
Come la foglia cade
Quando l'ottobre uscì.
Sempre alla mia memoria
Narra, o diletto fiore,
Quella pietosa istoria
Che inaridir ti fè.
Qual prezioso obietto
Ti serberò sul core:
Pegno del primo affetto,
Tu morirai con me.
DA VERSI 1872
Pagine
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venerdì 28 febbraio 2020
martedì 25 febbraio 2020
IL CADER DELLE FOGLIE
UNA POESIA, CHE POTREBBE PARTECIPARE ALLA QUARTA EDIZIONE DEL NOSTRO CONCORSO, SCRITTA PROPRIO DA MARIA VIRGINIA FABRONI E PUBBLICATA NELLA RACCOLTA "VERSI" DEL 1871
E già mosse dal vento che vi sperde,
Pallide foglie, mi cadete al piè,
Pur non ha guari che dipinte a verde
L'occhio smarrito rallegravi a me.
Alla vostr'ombra tremola i' sedea
Sull'erba molle del natìo pratel,
Mentre del libro aperto in ch'io leggea
Scomponeva le carte il venticel.
E già sovra il terreno arse ingiallite
Ad una ad una vegg'io cader;
E, trista imago, ad ingombrar venite
I margini dell'ermo mio sentier!
Nell'anno scorso foglie a voi sorelle
Sperdere io vidi dal soffio autunnal;
Ma su' rami all'april vidi più belle
Foglie sbocciar pel zeffiro vital.
Quelle voi siete? - Ohime! Chi vi ravvisa
Cosparse al suolo e pallide così?
Invano, invano io vi contemplo fisa
Per ritrovarvi la beltà di un dì.
Al par di voi, o inaridite foglie,
Nostra vita sen fugge in un balen:
Bellezza passa e gioventù; ne accoglie
Un dopo l'altro della tomba il sen!...
Stride il vento d'autunno a la foresta,
E voi dispicca, di bei rami onor;
Ma da quel sordo mormorìo si desta
Una voce, e mi suona in fondo al cor.
E' voce che la fragil creatura
Ode in se stessa e bene intender sa:
E' l'accento supremo di Natura,
che grida intorno a noi: "Caducità!"
26 settembre 1870
E già mosse dal vento che vi sperde,
Pallide foglie, mi cadete al piè,
Pur non ha guari che dipinte a verde
L'occhio smarrito rallegravi a me.
Alla vostr'ombra tremola i' sedea
Sull'erba molle del natìo pratel,
Mentre del libro aperto in ch'io leggea
Scomponeva le carte il venticel.
E già sovra il terreno arse ingiallite
Ad una ad una vegg'io cader;
E, trista imago, ad ingombrar venite
I margini dell'ermo mio sentier!
Nell'anno scorso foglie a voi sorelle
Sperdere io vidi dal soffio autunnal;
Ma su' rami all'april vidi più belle
Foglie sbocciar pel zeffiro vital.
Quelle voi siete? - Ohime! Chi vi ravvisa
Cosparse al suolo e pallide così?
Invano, invano io vi contemplo fisa
Per ritrovarvi la beltà di un dì.
Al par di voi, o inaridite foglie,
Nostra vita sen fugge in un balen:
Bellezza passa e gioventù; ne accoglie
Un dopo l'altro della tomba il sen!...
Stride il vento d'autunno a la foresta,
E voi dispicca, di bei rami onor;
Ma da quel sordo mormorìo si desta
Una voce, e mi suona in fondo al cor.
E' voce che la fragil creatura
Ode in se stessa e bene intender sa:
E' l'accento supremo di Natura,
che grida intorno a noi: "Caducità!"
26 settembre 1870
mercoledì 19 febbraio 2020
A ITALIA
Al par d'un fiore che s'aperse in riva
d'acqua limpida e viva
e all'ombra profumata
dell'arancio e del platano ospitale,
m'allegro d'essere nata
in questa dell'amor terra immortale.
O splenda in vetta all'alpi maestose
ovver dove tepente
in fra i cedri e le rose
l'aura sospira in riva a Mergellina,
di sua luce divina
qui ne sorride il sole eternamente.
Su pel balzo selvaggio,
ne l'industre città, nel ricco borgo,
e nel gramo villaggio,
della tua gloria scorgo,
o dolce Italia, e de la tua sventura,
grandi pietose, incancellabili orme.
Fra le cadenti mura
degli antichi manieri, ove i tiranni
in mille orrende forme
ti ribadir domestiche catene,
il sangue dei tuoi figli veggio ancora
vivido sì che non lo tolgono gli anni.
Quando l'april sen viene
e la commossa infiora
pel brivido d'amor gleba feconda,
sembra che fiore e fronda
s'intreccino in simboliche corone
sovra l'immane fossa
che de' caduti in varia tenzone
chiude le povere ossa!
Morir per te, per renderti più bella
ai figli ed ai nepoti
libera, onnipossente,
questi per anni molti
furo i costanti voti
di magnanima gente
che fidava al brillar de la tua stella.
Con accigliati volti
l'asta squassando, abbandonaro un giorno
del broccato i diversi magisteri,
e i forti popolani fiorentini
fè amor di patria doventar guerrieri.
Meglio la morte che soffrir lo scorno!
Gridavan essi: il popolo che piange
viva a novi destini.
Mugge Mazzocco e il tristo emblema infrange,
ei gridavan così! Degni tuoi figli
erano quei d'allora!
Ma non spuntò la desiata aurora
e vani furo i poderosi artigli.
La terra che nutrìa
il sommo peregrin del trino regno,
e l'Angel che scolpìa
e pingeva del par dive figure,
la terra ove l'ingegno
da viltà crebbe franco e da paure,
la terra d'alti affetti ispiratrice
fu la più bella sempre e più infelice.
Ferruccio, a te profonda
la patria carità ferveva in petto.
Forte campione d'una spenta razza,
parevi in volto fiero,
e pur sotto la valida corazza
ogni più santo affetto
insiem cresceva al tuo valor guerriero.
Di polve, di sudore,
di sangue asperso ei pugna;
di Gavinana i campi
sanno del suo valore;
del suo fido corsier la valid'ugna
manda sinistri lampi
ma cade il forte; sul glorioso ciglio.
scende velo funesto:
giorno fatale è questo
che sfronda di Firenze di sacro giglio.
Muori! Un vile gli grida,
ed ei risponde un'ironia sublime:
all'abietto omicida
l'ultimo sdegno esprime
da lui torcendo la pupilla altera
ch'è indegno di mirar morte d'eroi.
Prima la bacia, e poi
si copre il volto con la sua bandiera.
Così muore chi t'ama, e di tue pene
sente pietà infinita.
O Donna, che la fronte
posi abbattuta su le nevi alpine
e il piè distendi al mongibello ardente.
Anco fra le catene,
fra le rapine e l'onte
figli nudristi che ti dier la vita,
e mirasti talor fra nostra gente
gli esempi e le virtù latine.
Ed ora, se del glorioso
manto, Ferruccio sollevasse un lembo,
e se desto da lungo suo riposo,
te rivedesse, che di nembo in nembo
sei giunta, Italia, a salutar l'aurora
bramata invan sinora,
direbbe: "O sventurata,
con vili arti conquisa o data in dono,
poi, come morto in abbandono,
da varia frotta d'avvoltoi smembrata,
pure alfin ti vegg'io
risorta per valor non per fortuna
e torno lieto nel sepolcro mio
poiché fatta sei tu libera e Una!"
Sia lunge , Italia dalle miti piagge
e care al cielo, quella
che le elette città rese selvaggie
terribile procella!
Spezza la punta del pugnale ascoso,
che in man di genti abiette,
tremendo, misterioso,
di libertà nel nome, aspre vendette
compie nell'ombra delle tue contrade.
Questo non è desio
di pace né di gloria
che move a conculcar Cesare e Dio,
questa è vergogna della nostra etade
che inesorata narrerà la storia!
Sopra la strage mai,
Italia, il raggio del tuo sol non splenda,
ma sui campi ubertosi e i poggi gai
fecondator discenda.
Taccia la molle lira
ma forti, eletti carmi,
ricordino che Dante anco ne ispira,
antiche forme e pure
in abbaglianti marmi,
e sul telo e dipinte
palpitanti figure,
narrin che l'arti non son quivi estinte.
Meglio che ad ozio imbelle
le donne all'opre femminili intente,
anco a severi studi
sommettano la mente.
A lor non prema aver fama di belle,
ma plauso al senno e a nobili virtudi.
Sprezzino il molle onore
che porge alla beltà la turba pazza.
Di Dio, di te l'amore
serbino, Italia; e se pur d'uopo fia,
il mondo sappia che qui non morìa
di Clelia e di Virginia anco la razza.
E dirà lo straniero
te contemplando, bel giardino in fiore,
questa è la terra invero
della virtù del Genio e del valore!
DA VERSI 1877
d'acqua limpida e viva
e all'ombra profumata
dell'arancio e del platano ospitale,
m'allegro d'essere nata
in questa dell'amor terra immortale.
O splenda in vetta all'alpi maestose
ovver dove tepente
in fra i cedri e le rose
l'aura sospira in riva a Mergellina,
di sua luce divina
qui ne sorride il sole eternamente.
Su pel balzo selvaggio,
ne l'industre città, nel ricco borgo,
e nel gramo villaggio,
della tua gloria scorgo,
o dolce Italia, e de la tua sventura,
grandi pietose, incancellabili orme.
Fra le cadenti mura
degli antichi manieri, ove i tiranni
in mille orrende forme
ti ribadir domestiche catene,
il sangue dei tuoi figli veggio ancora
vivido sì che non lo tolgono gli anni.
Quando l'april sen viene
e la commossa infiora
pel brivido d'amor gleba feconda,
sembra che fiore e fronda
s'intreccino in simboliche corone
sovra l'immane fossa
che de' caduti in varia tenzone
chiude le povere ossa!
Morir per te, per renderti più bella
ai figli ed ai nepoti
libera, onnipossente,
questi per anni molti
furo i costanti voti
di magnanima gente
che fidava al brillar de la tua stella.
Con accigliati volti
l'asta squassando, abbandonaro un giorno
del broccato i diversi magisteri,
e i forti popolani fiorentini
fè amor di patria doventar guerrieri.
Meglio la morte che soffrir lo scorno!
Gridavan essi: il popolo che piange
viva a novi destini.
Mugge Mazzocco e il tristo emblema infrange,
ei gridavan così! Degni tuoi figli
erano quei d'allora!
Ma non spuntò la desiata aurora
e vani furo i poderosi artigli.
La terra che nutrìa
il sommo peregrin del trino regno,
e l'Angel che scolpìa
e pingeva del par dive figure,
la terra ove l'ingegno
da viltà crebbe franco e da paure,
la terra d'alti affetti ispiratrice
fu la più bella sempre e più infelice.
Ferruccio, a te profonda
la patria carità ferveva in petto.
Forte campione d'una spenta razza,
parevi in volto fiero,
e pur sotto la valida corazza
ogni più santo affetto
insiem cresceva al tuo valor guerriero.
Di polve, di sudore,
di sangue asperso ei pugna;
di Gavinana i campi
sanno del suo valore;
del suo fido corsier la valid'ugna
manda sinistri lampi
ma cade il forte; sul glorioso ciglio.
scende velo funesto:
giorno fatale è questo
che sfronda di Firenze di sacro giglio.
Muori! Un vile gli grida,
ed ei risponde un'ironia sublime:
all'abietto omicida
l'ultimo sdegno esprime
da lui torcendo la pupilla altera
ch'è indegno di mirar morte d'eroi.
Prima la bacia, e poi
si copre il volto con la sua bandiera.
Così muore chi t'ama, e di tue pene
sente pietà infinita.
O Donna, che la fronte
posi abbattuta su le nevi alpine
e il piè distendi al mongibello ardente.
Anco fra le catene,
fra le rapine e l'onte
figli nudristi che ti dier la vita,
e mirasti talor fra nostra gente
gli esempi e le virtù latine.
Ed ora, se del glorioso
manto, Ferruccio sollevasse un lembo,
e se desto da lungo suo riposo,
te rivedesse, che di nembo in nembo
sei giunta, Italia, a salutar l'aurora
bramata invan sinora,
direbbe: "O sventurata,
con vili arti conquisa o data in dono,
poi, come morto in abbandono,
da varia frotta d'avvoltoi smembrata,
pure alfin ti vegg'io
risorta per valor non per fortuna
e torno lieto nel sepolcro mio
poiché fatta sei tu libera e Una!"
Sia lunge , Italia dalle miti piagge
e care al cielo, quella
che le elette città rese selvaggie
terribile procella!
Spezza la punta del pugnale ascoso,
che in man di genti abiette,
tremendo, misterioso,
di libertà nel nome, aspre vendette
compie nell'ombra delle tue contrade.
Questo non è desio
di pace né di gloria
che move a conculcar Cesare e Dio,
questa è vergogna della nostra etade
che inesorata narrerà la storia!
Sopra la strage mai,
Italia, il raggio del tuo sol non splenda,
ma sui campi ubertosi e i poggi gai
fecondator discenda.
Taccia la molle lira
ma forti, eletti carmi,
ricordino che Dante anco ne ispira,
antiche forme e pure
in abbaglianti marmi,
e sul telo e dipinte
palpitanti figure,
narrin che l'arti non son quivi estinte.
Meglio che ad ozio imbelle
le donne all'opre femminili intente,
anco a severi studi
sommettano la mente.
A lor non prema aver fama di belle,
ma plauso al senno e a nobili virtudi.
Sprezzino il molle onore
che porge alla beltà la turba pazza.
Di Dio, di te l'amore
serbino, Italia; e se pur d'uopo fia,
il mondo sappia che qui non morìa
di Clelia e di Virginia anco la razza.
E dirà lo straniero
te contemplando, bel giardino in fiore,
questa è la terra invero
della virtù del Genio e del valore!
DA VERSI 1877
martedì 4 febbraio 2020
POESIE SCELTE un'antologia di Maria Virginia Fabroni
Dal sito www.leggilanotizia.it
Nel 1880 il dottor Giuseppe Fabroni, per onorare la figlia scomparsa due anni prima, dava alle stampe le Poesie inedite e postume di Maria Virginia Fabroni da Tredozio. A ventisei anni, la poetessa era già conosciuta a livello nazionale ma il 10 agosto 1878 perse la sua battaglia contro la tisi, poco prima di convolare a nozze con il suo amato.
Nella sua breve esistenza compose oltre duecento liriche, pubblicate in prevalenza con la Tipografia Nistri di Pisa (città in cui si trasferì dal 1862 al 1868 per studiare al Conservatorio S.Anna) oltre ad una raccolta di racconti edita dalla Treves, la casa editrice italiana di maggior prestigio dell’epoca.
Dopo quasi 140 anni di silenzio editoriale, nel 2019 è uscita una selezione di 27 liriche della Fabroni (1851-1878), rappresentativa della sua produzione, da titolo Maria Virginia Fabroni – Poesie scelte, edito dalla casa editrice faentina “Tempo al Libro”. Il volume è la giusta conclusione del progetto dalla sezione tredoziese della “Libera università degli adulti” di Faenza, che ha voluto rendere omaggio alla sua illustre compaesana con una serie di incontri alla scoperta dei suoi versi e della sua vicenda biografica.
A curare il libro, che gode del patrocinio gratuito del Comune di Tredozio, sono stati Lorenzo Bosi, la professoressa Maria Grazia Nannini e Barbara Verni. L'opera è completata da un glossario poetico commentato dalla professoressa Silvia Ricci e da un saggio stilistico del critico letterario Luca Cenacchi.
Maria Virginia Fabroni – Poesie scelte (132 pag., 12 euro) è già distribuito nelle principali città romagnole, nei punti vendita più attenti all’editoria locale.
Per informazioni su dove trovarlo o come riceverlo: info@tempoallibro.it, tel. 347.2567067.
POESIE SCELTE
Nel 1880 il dottor Giuseppe Fabroni, per onorare la figlia scomparsa due anni prima, dava alle stampe le Poesie inedite e postume di Maria Virginia Fabroni da Tredozio. A ventisei anni, la poetessa era già conosciuta a livello nazionale ma il 10 agosto 1878 perse la sua battaglia contro la tisi, poco prima di convolare a nozze con il suo amato.
Nella sua breve esistenza compose oltre duecento liriche, pubblicate in prevalenza con la Tipografia Nistri di Pisa (città in cui si trasferì dal 1862 al 1868 per studiare al Conservatorio S.Anna) oltre ad una raccolta di racconti edita dalla Treves, la casa editrice italiana di maggior prestigio dell’epoca.
Dopo quasi 140 anni di silenzio editoriale, nel 2019 è uscita una selezione di 27 liriche della Fabroni (1851-1878), rappresentativa della sua produzione, da titolo Maria Virginia Fabroni – Poesie scelte, edito dalla casa editrice faentina “Tempo al Libro”. Il volume è la giusta conclusione del progetto dalla sezione tredoziese della “Libera università degli adulti” di Faenza, che ha voluto rendere omaggio alla sua illustre compaesana con una serie di incontri alla scoperta dei suoi versi e della sua vicenda biografica.
A curare il libro, che gode del patrocinio gratuito del Comune di Tredozio, sono stati Lorenzo Bosi, la professoressa Maria Grazia Nannini e Barbara Verni. L'opera è completata da un glossario poetico commentato dalla professoressa Silvia Ricci e da un saggio stilistico del critico letterario Luca Cenacchi.
Maria Virginia Fabroni – Poesie scelte (132 pag., 12 euro) è già distribuito nelle principali città romagnole, nei punti vendita più attenti all’editoria locale.
Per informazioni su dove trovarlo o come riceverlo: info@tempoallibro.it, tel. 347.2567067.
POESIE SCELTE