lunedì 14 gennaio 2019

TREDOZIO

E tu, dì per che modo
Se'  sbocciato quassù su questo ciglio,
Inavvertita, languida viola,
Come fanciulla sola
In paese d'esiglio?
                        ALEARDI


Qui sovra il monte, dove nevi e brine
Cadono spesse e cresce il cardo e il rovo,
Tra l'edera che cinge le ruine,
Come solinga vergine ti trovo;
E mi par che più grato in questa vetta
Si spanda il tuo profumo, o Violetta.

Quest'alte mura, che del tempo l'ale
Inesorabilmente han rovesciate,
S'ergeano un tempo a circondar le sale,
Che le volte coprian d'auro fregiate;
E dove intralcian ora ed erbe e spini
Sorgevan torri e s'estendean giardini.

Forse dove hai tu sede, o mia Viola,
In su la sera d'una età lontana
Venìa pensosa dell'amante e sola,
Qualche nobile e vaga castellana;
Mentre un suon d'arpa udian le selve conte,
E l'eco a lei lo ridicea del monte.

Tre Giovinette da le bionde chiome
Questo abitaro un dì sfatto Castello;
E prime furo a dar principio e nome
Al piccolo solingo paesello,
Che discendendo per difficil calle
S'incontra giuso ne l'angusta valle.

Eran belle e modeste, eran gentili
Figlie del prode del Castel Signore,
E niuna d'esse pur diciotto aprili
Visto per anco avea mettersi in fiore;
Quando il patto solenne ebbero stretto
Di fare a pié del monte un paesetto.

Con i denar, che 'l padre lor destina
Quando d'alto Signor divengan spose,
Inalzan case al pié della collina
Le tre vaghe fanciulle generose:
E Tredozio il paese fu nomato
Da le tre doti che l'avean fondato.

Sorse quasi d'incanto; indi s'accrebbe
D'abitazioni; ma il Castello antico,
Morte le tre donzelle, più non ebbe
Chi 'l difendesse dal tempo nemico.
Sfasciossi in breve e sulle pietre brulle
Non leggi il nome de le tre fanciulle.

Lapida qui non v'ha che le rammenti
Ai posteri, chè il tempo inesorato
Seco si porta ratto al par de' venti
Fin l'estrema memoria del passato;
E co' tuoi molli effluvi e me tu sola
Le tre Sore rammenti, o mia Viola!

Forse anch'elleno un dì t'ebbero amata
E i tuoi cespi educar per lor diletto;
Dalle candide man fosti donata
Si come pegno di segreto affetto.
Dimmi: Viola, serbi tu memoria
Di qualche mesta affettuosa istoria?

Forse mentr'una delle tre Donzelle
Pegno di fede al suo caro t'offria
Una parola gelida e ribelle
Per compenso a trafiggerla venia.
Dì: per far onta a un infelice amore
Fu profanato il tuo pallido fiore?...

Se fu così, non accoglier talento
Di lasciar meco le rovine e i dumi.
Passarono cent'anni e cento e cento,
Ma non cangiàr le menti ed i costumi.
Meglio che il tocco d'una mano ingrata
Ama viver solinga ed obbliata.

Tredozio 1872


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