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martedì 21 marzo 2023

AMORE

 Amore è voce, che natura emette

   ne' suoi concenti più sublimi e cari.

   Amore è fiamma, che ne' petti ignari

   tanto più ardenti vibra le saette.

Amore è Nume: creature elette

   gli ergono in cor misteriosi altari.

   Amore è duolo, che di pianti amari

   sazia quell'alme in sue catene strette.

Amore è luce: il suo divino raggio

   è l'iri de la terra del dolore.

   Amore è laccio di gentil servaggio.

Amore è vita: è sovrumano ardore:

   ed al compirsi del mortal viaggio

   in ciel rivive più fulgente "Amore".


da: "Versi" 1871




giovedì 23 febbraio 2023

A GIUSEPPE GIUSTI

 Vorrei che novo, eletto, il canto mio,

solvesse il gelo del tuo cener muto;

ma il facil verso che m'ha dato Iddio,

sol mi consente un umile saluto;

un saluto gentil, tutto del core

al genio, alla sapienza ed all'amore.

Ché se la pena temperasti al fiele,

ti stava la dolcezza in mezzo al petto.

A traverso la satira crudele

balenava un sospiro ed un affetto...

E t'ispirò d'amor la voce arcana

l'inno immortale all'Amica lontana.

Oh! T'avess'io veduto!...La parola

profana i grandi affetti non gli esprime;

forse uno sguardo, una movenza sola,

meglio che il suono di studiate rime,

t'avrian detto l'omaggio del mio core

al genio, alla sapienza ed all'amore.

Di te mi parla quest'amena riva,

di te le verdi fertili colline;

la tua memoria il mio canto ravviva

come un fior le rugiade cristalline;

sento l'anima tua, come sovente

d'un caro obietto arrivar si sente.

Colà lontano, ove tramonta il sole,

pensierosa ho talora il guardo intento,

e di Te sogno, ed il tuo verso suole

tornarmi al labro quale amico accento.

Teco piansi; a me pur nasconde il core

"Questo che par sorriso, ed è dolore!"

Quando mirai la casa tua diletta

ove Pescia di Te memoria pose,

dissi: felice l'erma cameretta

che veglie e sonni di tant'alma ascose,

e dove forse dispiegaron l'ali

quei soavi d'amor versi immortali.

Addio, per sempre addio, valle ridente,

di fantasie gentili inspiratrice!

Ti rivedrò ne' sogni della mente

come il ricordo del tempo felice!

Come un ricordo d'un lontano amore

ti rivedrò ne' sogni del mio core!

E te, memoria del Tosco Poeta,

meco verrai nel mio soggiorno oscuro.

Io non mi affanno a gloriosa meta,

né pur del folle malignar mi curo.

Ma, come un fiore al raggio che l'aprìa,

m'ispiro ai Grandi de la Patria mia.



Da: "Versi" 1877


venerdì 20 gennaio 2023

AD ALEARDO ALEARDI

 Tu se' lo mio Maestro e lo mio Autore

(Dante)


Corse la fama del tuo canto in seno

   agli ardui monti, ov'io traggo la vita,

   come ne giunge per il ciel seren

   la fragranza a' lontani fior rapita;

   e sovra il tuo volume

   il mio genio posò l'umili piume.

Degli avi nostri le gloriose gesta

   su le dotte tue carte io riandai,

   e teco assorta in rimembranza mesta 

   accanto alla gran Roma mi posai.

   Quando poi sul turchino

   vertice del mio patrio Appennino,

in una sera fulgida di stelle

   vedea la luce subitana e viva

   d'innumeri, fantastiche fiammelle

   che la mattina annunziano festiva,

   una lacrima tersi,

   mentre i tuoi ridicea soavi versi.

Io molto piansi allor che ti seguìa

   nel tuo pellegrinar per l'erma valle,

   ove l'avanzo misero apparìa

   di genti morte da le ausonie palle:

   e teco anche mi assisi

   presso le spoglie dei tuoi sette uccisi.

Ma invano la mia Musa poveretta

   lode, qual merti, renderti vorria:

   di man le cade l'arpa sua diletta

   de' tuoi canti sublimi a l'armonia,

   mentre, prostrata al suolo,

   segue col guardo il tuo possente volo.

Pur non sdegnarmi: a tanto nobil merto

   lascia che porga lieto omaggio anch'io;

   agli incorrotti allori, ond'hai tu serto,

   fa' che s'unisca il fiorellino mio:

   semplice ed umil fiore

   ma che primo ebbe vita nel mio core.


Da "Versi" 1972




lunedì 9 gennaio 2023

AL CONSERVATORIO DEL SS. SACRAMENTO DI FOGNANO

    Come nota soave incantatrice

che s'ascolta  per l'aria tremolar

tra li virgulti dell'ascrea pendice

mista de' Zeffiretti al sospirar,

   vorrei che a te giungesse il verso mio,

chiostro solingo placido gentil,

cui fea sorger la mente di quel pio

che fu sì grande e in sua grandezza umil.

   Emiliani*! la mia cetra mesta

ispirar dolcemente si sentì

contemplando il recinto che ridesta

l'eterno lustro che fregiò i tuoi dì.

   Vergini, Voi che nell'angusta mole

correste desiose a ricovrar

e dall'Aurora al tramontar del Sole

preci inalzate al piè del sacro Altar.

   O Giovinette che, dal mondo insano

tolte sovra l'april di vostra età,

foste locate da benigna mano

ove il cuore s'informa alla pietà;

   sciogliete un inno che dolcezza spiri,

che parli gratitudine e amor,

e forse a voi da gli stellati giri

sorriderà l'eterno fondator.

   Poich'io 'l gelido sasso contemplai,

che serra di tant'alma il fragil vel

il pensiero alle stelle sollevai

e Lui scorsi festoso in mezzo al ciel.

   Oh non piangete! Ché se morte fura

prima i fidi seguaci di virtù,

di Lui soave immago e duratura

nel Chiostro amico avete ancor quaggiù.

   O Verginelle! Il labbro mio non puòte

del cor tutti gli affetti a voi ridir:

ma deh! leggete nell'ultime note

un tenero saluto ed un sospir.


da: Ricordo 1969


* Giuseppe Maria Emiliani faentino, fondatore del Conservatorio




mercoledì 4 gennaio 2023

IL CONVENTO

 Là ne la valle silenziosa e bruna

    giace un Convento.

    Vi splende sopra il raggio della Luna:

    vi tace il vento.

Un pomeriggio - meco era Riccardo -

    colà discesi;

    e sopra il Chiostro solitario, il guardo

    a lungo intesi.

Ambi sedendo d'una querce antica

    sull'erba al rezzo;

    e a noi dei sacri fiori l'aura amica

    portò l'olezzo,-

O dell'umil Convento piante care,

    qual grato odore!

    Ben siete degne sul nobile altare

    star del Signore!

Chiostro solingo: oh come nel tuo seno

    la gioja brilla!

    L'aura che spira nel tuo ciel sereno,

    com'è tranquilla!-

Intanto che la mesta anima mia

    così pensava,

    un vecchio religioso a noi venìa,

    e favellava:

Iddio vi salvi, o giovani, che amate

    l'ombra de' monti,

    dove scorrono l'acque immacolate

    d'eterni fonti!

De la gioja celeste, de la pace

    quest'è il soggiorno.

    Quivi del mondo la tempesta audace

    non rugge intorno.-

Come dolce tu parli ed ispirato!

    disse Riccardo;

    come il lungo desire hai penetrato

    ond'io sempre ardo!

Cerco la pace; e la fanciulla mia 

    la cerca meco:

    o buon vegliardo, additane la via

    che noi siam teco.-

Molte le vie che menano al Signore,

    giovani, sono:

    la via del sagrifizio, dell'amore,

    e del perdono.

Ma la via che a la santa pace guida,

    Iddio ci mostra.

    La pace in solitudine si annida

    com'è la nostra.

Io qui all'ombra dell'umile Convento

    trovai 'l Signore,

    che nel silenzio il suo divino accento

    fa udire al cuore.-

Te fortunato veglio benedetto!

    Ti salvi Iddio,

    gli dissi: oh del riposo il nido eletto

    trovassi anch'io!-

Giovani, egli rispose, anco nel mondo

    trovar potrete

    la pace, se de' mali e beni il pondo

    comune avrete.

Ma non vi punga di terrena gioja

    vano desio.

    Il mondo sol può dar tristezza e noja:

    la pace è Iddio.



da "Versi" 1872




sabato 23 gennaio 2021

DUE FANCIULLE AL CIMITERO

Taceva il vento, le rugiade molli

   Piovean ne gli arsi calami dei fiori

   A ravvisarli, e omai li verdi colli

   Il sol tingea degli ultimi splendori.


Là, dove accanto l'umile chiesetta

   Si distende de' morti il pio recesso,

   Giulia, pallida e vaga giovinetta,

   Inginocchiata all'ombra di un cipresso,


Fissava il guardo sulla pietra brulla

   Che un adorato estinto la rapìa;

    E Silvia intanto, a lei pari fanciulla,

    Sovr'altra fossa a lagrimar venìa.


Pianser, pregar lung'ora: alfin la bella

   Giulia, che colassù giunse primiera,

   Chiese: O Silvia, nel duolo a me sorella,

   Per chi levi la funebre preghiera?-


Ahimè! rispose, ed additò una fossa,

   Ve' che mi resta dell'amante mio?

   Una povera croce...un mucchio di ossa...

   Chè la parte miglior si prese Iddio.


Tra i gagliardi d'Italia era 'l mio Guido

   Il più gentile, valoroso, altero:

   E gli corse di guerra al primo grido

   Venezia a liberar dallo straniero.


Addio, mi disse, s'io torno glorioso,

   Gli allori deporrò tutti al tuo piede;

   Ma s'io non torno..pensa che 'l tuo sposo

   Morì per meritarsi la tua fede...


Le man mi strinse, e a poco indi partia,

   Me lasciando nel pianto e nel dolore..

   Due campioni ti diedi Italia mia:

   Il mio diletto e il mio spezzato core!


Di Dio nel nome si batté quel forte,

   Nel nome della sua lontana amica;

   Ma sonò l'ora... ed ei s'ebbe la morte

   Da la punta di fera arma nemica.


Da pio compagno spento fu trovato,

   Che agli orrori del campo lo rapìo,

   E dopo il gran conflitto fu portato

   Pietosamente al paesel natìo.


Presso la via dolente io m'appostai,

   E il convoglio fatal vidi venire...

   Diedi alto grido...fermarlo tentai

   Ma caddi a terra, e mi credei morire!


A la salma del martire italiano

   Dieder qui dentro ultimo riposo...

   Qui lo chiamo piangendo e sempre invano:

   Non  mi risponde il mio perduto sposo!...


Qui a lamentar le mie speranze morte

   Vengo e a discior la funebre preghiera;

   Ma non m'ascolta, perché dorme il forte;

   Dorme ravvolto nella sua Bandiera.


Tacque Silvia un momento; indi rivolta

   A Giulia del suo duol ragion le chiese.

    - Sospirò la fanciulla e disse: ascolta

   E a me del tuo compianto sii cortese.


Amor, che de le nostre alme è tiranno,

   M'incatenava il cor tremento e fiero,

   E tal m'ordiva insidioso inganno

   Ch'io giurai la fede a uno straniero.


In riva del Danubio nacque Ermando;

   Anch'ei bello, gentile e prode in guerra,

   Ma fin dagli anni primi e vita e brando

   Fè sacri a danno della nostra terra.


Eppur l'amai...ma'l grande mio peccato

   Sol mi fruttò rimorso, onta, dolore.

   Da me fuggissi lo stranier soldato...

   Così serbò la fede il traditore!


Fuggì lontano. Invan dal cor tentai

   Spegner la fiamma che sì mi divora.

   Più crudele il conobbi e più l'amai;

   Gli diedi il mio perdono...e l'amo ancora!


Ma ben punita fui d'aver accolta

   L'instabil fe d'uno straniero soldato:

   La madre...la mia madre...il ciel m'ha tolta,

   E qui ne giace il frale inanimato!


Ed io qui torno, mentre echeggia il suono

   Del mesto bronzo, a favellar di Dio,

   Da la mia madre ad impetrar perdono

   E chieder per l'amante eterno oblio!


Tacque Giulia; poi visto che sorgea

   Già la luna col suo pallido raggio,

   Stretta a Silvia pian pian la via prendea

   Che va dal monte al lor natìo villaggio.




DA VERSI 1872


lunedì 23 novembre 2020

LA MADONNA DEL FUOCO

Poesia tratta dal libro: 
EPIGRAFI E VERSI
nella incoronazione de l'immagine di Maria SS del Sole
Patrona di Pietrasanta.
24 maggio 1868

A quella data, Maria Virginia Fabroni aveva 17 anni ed era un'educanda del Conservatorio S. Anna di Pisa.

Vergine bella al par del Sole eletta,
     Dolce speranza delle umane genti,
     Cantar desio di Te; ma giovinetta
Inesperta mi son; dona agli accenti
     Dona valor tu, Madre, o andran nel volo
     Tronche l'ali, a cadere i miei concenti.
Tu se' Colei che di Feronia(1) al suolo
     Dolcemente volgesti i rai d'amore;
     E pronta ne fugasti il lutto e il duolo.
Tempo già fu, Madre del tuo Fattore,
     Che l'Immagine tua divenne, oh Dio!
     Bersaglio di satanico furore.
Nel giuoco avversa avea la sorte del rio
     Famiglio, ed empio di Te l'ira converse.
     A bestemmia esecranda il labbro aprio,
E sacrilego stil nel sen t'immerse...
     L'Immago ahimè! della ferita fuora
     Spettacolo di sangue al guardo offerse.
Al prodigio ogni volto si scolora:
     Un bipartito stuol muove, e ti vuole
     Di Dio nel Tempio, e là ciascuno onora,
Ma qual fu la cagion per cui dal Sole
     Nomata fosti? Ora al mio labbro ispira,
     O Vergine del Ciel, degne parole.
Per l'aer tetro un turbine si aggira,
     Caggion dirotti i nembi, e nel dolore
     Tutto è Feronia che i suoi danni mira.
Che far dovrà? mercé chiede al Signore,
     Né mercede impetrando, i mesti lai
     Alza all'Immago portentosa, e il core.
E tu, Maria, che non sdegnasti mai
     Pietosa udir chi ti pregò con fede
     Pieghi sul popol tuo benigna i rai.
Nel Tempio tolta sei della tua sede,
     Mentre ostinata è ancora la pioggia, e in quella
     Che al limitar ne giungi, ecco il Sol riede.
O portento! I fanciulli in lor favella
     Evviva, allor gridar come ispirati,
     La Madonna del Sole! oh quanto è bella!
Così noi t'appelliamo, e al suol prostrati
     Giuriam, del Sole eterno o vaga aurora,
     Che a' tuoi favor più non saremo ingrati.
Deh! nella tua pietade or che si onora
     L'Immagin tua di un serto, or tu ne dona
     Nuove grazie dal Cielo, ove Signora
"Hai di stelle immortali aurea corona!"

(1) poeticamente tanto è Feronia che Pietrasanta.



sabato 28 marzo 2020

UN FIORE ETERNO

Per la fanciulla Imelda Biancani

Un vago fior desidero:
   Mamma, mi porgi un fiore
   Che abbia gentile effluvio
   E più gentil colore-

Ecco, diletta Figlia,
   Una leggiadra rosa:
   Guarda com'è vermiglia!
   Senti com'è odorosa!

Essa è 'l più fido simbolo
   Di gioventù e beltade.
   Brilla del dì sul sorgere
   Ed al tramonto cade.-

Ah! se la rosa muore
   Pregio non ha a' miei rai.
   Mamma, io domando un fiore
   Che non perisca mai.-

Fanciulla mia, non chiedermi
   Quel che ottener non puoi.
   Eterni i fior non durano;
   Muoiono al par di noi.

Tutto in april germoglia,
   Tutto fiorir si vede;
   Ma sin l'ultima foglia
   D'autunno al vento cede!

E pur se tu desideri
   Non perituro fiore,
   Io te lo addito: educalo:
   Il germe è nel tuo cuore.

Educalo, e vedrai
   Quanta beltà racchiude!
   Non appassisce mai
   Il fior de la Virtude



DA VERSI 1874

venerdì 6 marzo 2020

BELVEDERE*

* Villa amenissima nei dintorni di Faenza di proprietà de' miei Congiunti Luisa, Francesca e D. Antonio Campidori presso i quali passai molti giorni in quel luogo incantevole.
Maria Virginia Fabroni.


Sorge tra i fiori, tra l'erbette e gli alberi
   Sovra un declivio;
   Del sol nascente lo dipinge a porpora
   Il raggio vivo.

Mille uccelletti tra le fronde cantano
   Il novo giorno;
   Di Mille fiori il profumato effluvio
   Si spande intorno.

Dall'alta loggia il piano immensurabile
   Fertile e verde
   Si scorge, finché in lieve azzurra nuvola
   Lontan si perde.

Vaghe cittadi, bianche ville sorgono
   Nella pianura,
   Siccome branchi di candide pecore
   Alla pastura.

E dall'opposto lato al ciel sollevano
   Le altere fronti
   Cinti di selve, di vigneti floridi
   Graziosi monti.-

Questo sorriso di natura parlami
   Bei detti al core,
   Della possanza onniscente, provvida
   De Creatore.

E fa dolermi di lasciare il placido
   Grazioso tetto
   Dove, siccome in nobil sede, albergano
   Virtù ed affetto:

Dove custode veglia un'invisibile
   Angel di pace,
   E quando splende il sole, e quando in tenebre
   Tutto si giace -

Questo mio canto, che vorrei men debole
   E disadorno,
   A voi consacro, Abitatori amabili,
   Del bel soggiorno.

Rammenterò questa ridente piaggia
   In ogni loco,
   E allor di novi e peregrini numeri
   M'invada il foco.

Come diletta visione fulgida
   Al mio pensiere
   Sempre l'aspetto apparirà incantevole
   Di Belvedere.



DA VERSI 1874

martedì 3 marzo 2020

IL MONASTERO - LEGGENDA

                    I
    All'arduo monte in vetta
S'innalza il Monastero;
Ma non ridestan l'eco i sacri canti
De' Cenobi santi.
Inculta, solitaria è la selvetta,
Pien di sterpi 'l sentiero
Che vi conduce; le vetuste mura
L'edera flessuosa
Cinge di sua verdura;
La maestosa porta
Da gran tempo non s'apre:
Tutto qui tace, e sol l'aura odorosa
Sibilando ne porta
I lontani profumi:
E le selvagge capre
Brucan talor tra le ruine e i dumi.

   Della squilla sonora
Più non s'odon gli accenti,
Che a mezzodì, al tramonto ed all'aurora
Chiamava al tempio un giorno
I devoti credenti.
L'altare è disadorno,
E da ben lunga etade aspetta invano
Che immacolata mano,
Come una volta, quando sorge il sole
L'Ostia di pace immole.

   Ahi! di cotanto scempio
Qual fu la cagione? Gli eletti custodi
Dell'obliato tempio
Ove ne andaro? Le divine lodi
Perché non sonan piu?... Ah! più non vive
Il nobil ministero; e sol si ascolta
Sotto la sacra volta
Lagnarsi il gufo col suo infesto accento
Che a le solinghe rive
Mesto ridice il vento!
Una proterva guerra
Tal fe' governo della sacra terra!

                    II

   In altri dì fioria
Di molto sapienti sacerdoti
La solinga Badia;
Quando un'orda di Goti
Con le insegne del barbaro Alarico
Salì di notte armata,
Sitibonda di strage, avida d'oro,
Al pio recinto antico;
E da lontano udì la misurata
Lenta armonia de' Cenobiti in coro.
Un rimorso improvviso,
Una pietà, che non conobber mai,
Il passo a quei ladron rese indeciso.
L'alto silenzio che regnava intorno,
La bruna selva, il murmure del vento,
I verecondi rai
Di mesta luna, che sul pio soggiorno
Stendeva un vel d'argento,
Tutto parlava di quei fieri al core,
Non di strage, ma d'amore.

   Ma la rapina, l'odio inveterato
Verso il nobile altare
E i suoi ministri santi,
Ebber ne l'alme prave trionfato.
In men ch'io'l dico, le crudeli, avare
Voglie su quei sembianti
Si parvero più vive: la dimora
Inviolata e sacra infino allora,
Forzar protervi; il tempio
Donde dì e notte al sommo Dio s'ergea
La dolce salmodia,
Or de la turba la bestemmia rea
Alto sonar udìa!
   Oh! novo, orrendo scempio!
Ad uno ad uno ne' medesmi scanni
Donde il sospir de core
Levavano al Signore,
Furono quegli innocenti
Insultati, battuti; e manco agli anni
Gli empi non perdonaro,
E dei giovani al paro
Degli egri e dei cadenti
Aspro si fè governo.
Ad uno ad uno all'ara que' rubelli
Li trascinaro avante
Aprendo un riso che parea d'inferno.
E i martiri, seguendo i sacri canti,
Ad uno ad un perir sotto i coltelli.
     Ma la strage fornita
La terra si commosse,
E con tremende scosse
Da le profonde viscere eruttava
Zolfo ardente e bitume,
Che avvenne?...aita, aita!...
Disperato gridava
Lo stuol di quei feroci:
Ma di repente per sinistro lume
Splendè la chiesa; di confuse voci
Udissi un mormorio....
Foco per tutto divampava i tristi,
A quel foco commisti,
Ridda faceano orrenda.
Così per essi cominciò tremenda
La vendetta di Dio!...

                   III

   L'alba spuntò, come d'usato, bella
Sul cheto Monastero,
Ma una innocente vaga pastorella,
Che ogni dì rifacea
Il romito sentiero,
Perché al convento dimandar solea
Un obolo al padrin limosiniere,
Vide dell'ombre nere
Vagolar quivi intorno
E fuggir paurose in faccia al giorno.

   Tremò la fanciulletta
D'una arcana paura,
E tornassene a casa in tutta fretta,
E narrò palpitante l'avventura.
Un giovinetto udilla
Che pel più coraggioso si tenea
Che fosse in quella villa
Egli, mentre la luna alto sorgea,
Cheto e solingo incominciò 'l sentiero
Che mena al Monastero.
   Ma, poiché arrivò poco lontano,
Udì lamenti in un linguaggio strano;
E spettri vide, quali in bianche vesti,
Quali avvolti nel foco,
Mandare accenti mesti,
Parlar sommesso e fioco;
Incontrasi tra i claustri, ire e venire,
Apparire e sparire.
   Più non volle il pastore; ei senza voce,
Senza moto rimase.
Fece il segno della croce,
E come prima alquanto si riscosse,
Borri saltando e fosse,
Tornò tutto smarrito alle sue case.
   Venne il mattino e tutto
il queto paesello
Seppe l'evento: a sempiterno lutto
Lasciossi 'l chiostro in altri dì sì bello.

   Ancor tra quella gente
Tanta memoria dura.
E mentre fuori stride l'aura algente,
Ne le veglie d'inverno
Presso 'l suo focolare
Il semplice villan tutto in paura
Di barbari spettri e dell'inferno,
S'ode trista leggenda anco narrare.
E se nel chiedi, ei dice
Che quando fa la luna e tace il vento
Pel piano e la pendice,
Tutta una fiamma par l'ampio convento;
E s'odon grida per l'aria serena
Come d'anima in pena.
   Ond'è che quelle mura
E que' giardini infesti
Sempre saranno, e nel passarvi attorno
Ne invaderà paura.
Cadrà sasso per sasso il bel soggiorno.
Finché nulla ne resti!...
   Tutto par morto quivi,
Qui regna lo squallore!
E inaridisce, se vi spunta il fiore.
Da qui 've l'innocente
Sangue versossi a rivi,
Rifugge tutta gente,
Che vede nelli spettri ed in quel foco,
Che pare incenda il loco,
Dove compiessi il crimine più rio,
La vendetta di Dio!



Da Versi 1874

venerdì 28 febbraio 2020

UN FIORE

UNA SECONDA POESIA CHE POTREBBE PARTECIPARE AL NOSTRO CONCORSO, TEMA: I COLORI DELL'AUTUNNO/FOLIAGE

Una memoria mesta,
  Un appassito fiore:
  Ecco cosa mi resta
  D'un tempo che fuggì!
      Felicità sparita.
          Non può tornar nel core:
          Tornar non può la vita
          Del fior che inaridì.

Ohimè, per quale incanto
  Tutto in un soffio passa!
  Perché sì tosto in pianto
  Il riso si cangiò?
      Amore è sogno infido
          Ch'orma di se non lassa;
          Si sperde come grido
          Che l'eco non destò.

Sol mi rimani e caro,
  Pover fiore, mi sei!
  Il disinganno amaro
  Rammenti a me così
      Sul bello dell'etade
          Ogni illusion perdei,
          Come la foglia cade
          Quando l'ottobre uscì.

Sempre alla mia memoria
  Narra, o diletto fiore,
  Quella pietosa istoria
  Che inaridir ti fè.
      Qual prezioso obietto
          Ti serberò sul core:
          Pegno del primo affetto,
          Tu morirai con me.



DA VERSI 1872

martedì 25 febbraio 2020

IL CADER DELLE FOGLIE

UNA POESIA, CHE POTREBBE PARTECIPARE ALLA QUARTA EDIZIONE DEL NOSTRO CONCORSO, SCRITTA PROPRIO DA MARIA VIRGINIA FABRONI E PUBBLICATA NELLA RACCOLTA "VERSI" DEL 1871 

E già mosse dal vento che vi sperde,
   Pallide foglie, mi cadete al piè,
   Pur non ha guari che dipinte a verde
   L'occhio smarrito rallegravi a me.

Alla vostr'ombra tremola i' sedea
   Sull'erba molle del natìo pratel,
   Mentre del libro aperto in ch'io leggea
   Scomponeva le carte il venticel.

E già sovra il terreno arse ingiallite
   Ad una ad una vegg'io cader;
   E, trista imago, ad ingombrar venite
   I margini dell'ermo mio sentier!

Nell'anno scorso foglie a voi sorelle
   Sperdere io vidi dal soffio autunnal;
   Ma su' rami all'april vidi più belle
   Foglie sbocciar pel zeffiro vital.

Quelle voi siete? - Ohime! Chi vi ravvisa
   Cosparse al suolo e pallide così?
   Invano, invano io vi contemplo fisa
   Per ritrovarvi la beltà di un dì.

Al par di voi, o inaridite foglie,
   Nostra vita sen fugge in un balen:
   Bellezza passa e gioventù; ne accoglie
   Un dopo l'altro della tomba il sen!...

Stride il vento d'autunno a la foresta,
   E voi dispicca, di bei rami onor;
   Ma da quel sordo mormorìo si desta
   Una voce, e mi suona in fondo al cor.

E' voce che la fragil creatura
   Ode in se stessa e bene intender sa:
   E' l'accento supremo di Natura,
   che grida intorno a noi: "Caducità!"




26 settembre 1870

mercoledì 19 febbraio 2020

A ITALIA

Al par d'un fiore che s'aperse in riva
   d'acqua limpida e viva
   e all'ombra profumata
   dell'arancio e del platano ospitale,
   m'allegro d'essere nata
   in questa dell'amor terra immortale.
O splenda in vetta all'alpi maestose
   ovver dove tepente
   in fra i cedri e le rose
   l'aura sospira in riva a Mergellina,
   di sua luce divina
   qui ne sorride il sole eternamente.
Su pel balzo selvaggio,
   ne l'industre città, nel ricco borgo,
   e nel gramo villaggio,
   della tua gloria scorgo,
   o dolce Italia, e de la tua sventura,
   grandi pietose, incancellabili orme.
   Fra le cadenti mura
   degli antichi manieri, ove i tiranni
   in mille orrende forme
   ti ribadir domestiche catene,
   il sangue dei tuoi figli veggio ancora
   vivido sì che non lo tolgono gli anni.
   Quando l'april sen viene
   e la commossa infiora
   pel brivido d'amor gleba feconda,
   sembra che fiore e fronda
   s'intreccino in simboliche corone
   sovra l'immane fossa
   che de' caduti in varia tenzone
   chiude le povere ossa!
Morir per te, per renderti più bella
   ai figli ed ai nepoti
   libera, onnipossente,
   questi per anni molti
   furo i costanti voti
   di magnanima gente
   che fidava al brillar de la tua stella.
   Con accigliati volti
   l'asta squassando, abbandonaro un giorno
   del broccato i diversi magisteri,
   e i forti popolani fiorentini
   fè amor di patria doventar guerrieri.
   Meglio la morte che soffrir lo scorno!
   Gridavan essi: il popolo che piange
   viva a novi destini.
   Mugge Mazzocco e il tristo emblema infrange,
   ei gridavan così! Degni tuoi figli
   erano quei d'allora!
   Ma non spuntò la desiata aurora
   e vani furo i poderosi artigli.
La terra che nutrìa
   il sommo peregrin del trino regno,
   e l'Angel che scolpìa
   e pingeva del par dive figure,
   la terra ove l'ingegno
   da viltà crebbe franco e da paure,
   la terra d'alti affetti ispiratrice
   fu la più bella sempre e più infelice.
Ferruccio, a te profonda
   la patria carità ferveva in petto.
   Forte campione d'una spenta razza,
   parevi in volto fiero,
   e pur sotto la valida corazza
   ogni più santo affetto
   insiem cresceva al tuo valor guerriero.
   Di polve, di sudore,
   di sangue asperso ei pugna;
   di Gavinana i campi
   sanno del suo valore;
   del suo fido corsier la valid'ugna
   manda sinistri lampi
ma cade il forte; sul glorioso ciglio.
   scende velo funesto:
   giorno fatale è questo
   che sfronda di Firenze di sacro giglio.
Muori! Un vile gli grida,
   ed ei risponde un'ironia sublime:
   all'abietto omicida
   l'ultimo sdegno esprime
   da lui torcendo la pupilla altera
   ch'è indegno di mirar morte d'eroi.
   Prima la bacia, e poi
   si copre il volto con la sua bandiera.
Così muore chi t'ama, e di tue pene
   sente pietà infinita.
   O Donna, che la fronte
   posi abbattuta su le nevi alpine
   e il piè distendi al mongibello ardente.
   Anco fra le catene,
   fra le rapine e l'onte
   figli nudristi che ti dier la vita,
   e mirasti talor fra nostra gente
   gli esempi e le virtù latine.
Ed ora, se del glorioso
   manto, Ferruccio sollevasse un lembo,
   e se desto da lungo suo riposo,
   te rivedesse, che di nembo in nembo
   sei giunta, Italia, a salutar l'aurora
   bramata invan sinora,
   direbbe: "O sventurata,
   con vili arti conquisa o data in dono,
   poi, come morto in abbandono,
   da varia frotta d'avvoltoi smembrata,
   pure alfin ti vegg'io
   risorta per valor non per fortuna
   e torno lieto nel sepolcro mio
   poiché fatta sei tu libera e Una!"
Sia lunge , Italia dalle miti piagge
   e care al cielo, quella
   che le elette città rese selvaggie
   terribile procella!
   Spezza la punta del pugnale ascoso,
   che in man di genti abiette,
tremendo, misterioso,
   di libertà nel nome, aspre vendette
   compie nell'ombra delle tue contrade.
   Questo non è desio
   di pace né di gloria
   che move a conculcar Cesare e Dio,
   questa è vergogna della nostra etade
   che inesorata narrerà la storia!
   Sopra la strage mai,
   Italia, il raggio del tuo sol non splenda,
   ma sui campi ubertosi e i poggi gai
   fecondator discenda.
Taccia la molle lira
   ma forti, eletti carmi,
   ricordino che Dante anco ne ispira,
   antiche forme e pure
   in abbaglianti marmi,
   e sul telo e dipinte
   palpitanti figure,
   narrin che l'arti non son quivi estinte.
Meglio che ad ozio imbelle
   le donne all'opre femminili intente,
   anco a severi studi
   sommettano la mente.
   A lor non prema aver fama di belle,
   ma plauso al senno e a nobili virtudi.
Sprezzino il molle onore
   che porge alla beltà la turba pazza.
   Di Dio, di te l'amore
   serbino, Italia; e se pur d'uopo fia,
   il mondo sappia che qui non morìa
   di Clelia e di Virginia anco la razza.
E dirà lo straniero
   te contemplando, bel giardino in fiore,
   questa è la terra invero
   della virtù del Genio e del valore!


DA VERSI 1877

sabato 4 gennaio 2020

UN'ORA DI MELANCONIA

Or che l'estremo raggio del sole
   Dietro quel monte lento dispare,
   E sembra spengersi tanto fulgore
   Nell'infinita plaga del mare;

Or che una lieve gelida brezza
   Come un concerto di voci meste
   Nel vicin prato spinge e carezza
   L'ultime foglie delle foreste;

E l'onda rauca scende e si frange
   Sui bianchi ciottoli senza riposo
   E un invisibile ente che piange
   Pare, o lontano spirto amoroso:

Quante memorie meste e gradite
   Nell'alma in folla sento tornare!
   Tal che mi sembrano l'onde infinite,
   Che senza requie s'alzano in mare.

Tutti mi sorgono a gara innante
   Soavi immagini, sogni beati,
   E tutti domina caro un sembiante
   Come la mammola i fior dei prati.

Ma la memoria del tempo lieto
   Se pur conforto porge talora:
   Però rimpianto desta secreto,
   E in novi spasimi l'alma dolora.

Vorremmo struggere quel bel passato
   Che nulla speme abbiam che torni,
   E derisione ci par del Fato
   L'immago assidua de' cari giorni.

Ah! quell'immagine cara, spietata,
   All'ime latebre del cor s'appiglia,
   Siccome al valido scoglio attaccata
   Co' suoi tesori stà la conchiglia...

E' questa l'ora della memoria
   Che novi palpiti desta nel petto;
   Sdegno, ambizione, desìo di gloria,
   Tutto sparisce...regna l'affetto.

Oh! chi può dire l'ansia secreta,
   La speme, il dubbio, oh! chi può dire,
   Quando lo spirito scorge una meta,
   Un punto fulgido nell'avvenire?...

Quando lontani da chi s'adora
   Nel rio sospetto di lungo oblio
   Si pensa...forse...forse a quest'ora
   Un cor gentile batte col mio?...

Ah! forse un caro sguardo lontano
   Segue la curva delle montagne,
   Ed oltre quelle cerca, ma invano,
   Queste gelate tetre campagne!

Forse contempla pensoso e muto
   L'urna appassita di un mesto fiore,
   Ed alle rondini fida un saluto
   Che a me lo porti nel mio dolore!...

E' sogno, è sogno, che poi s'invola
   Come la tenebra per la mattina;
   E' sogno, è sogno, che un'ombra sola
   Di dubbio dissipa come la brina.

Oh! ma se il dubbio, se lo sgomento
   Solo durasse nel freddo verno,
   E se un amico pietoso accento
   Dicesse il duolo non sarà eterno!

Oh sì! lo spero!... Verran le rose,
   Verran gli uccelli co' nuovi amori;
   Se siete simboli di liete cose,
   Tornate o fiori, tornate o fiori!

La neve sciogliersi vedrò sul monte
   Ai molli Zeffiri di primavera,
   Che carezzandomi il crin, la fronte,
   In dolce mormoro diranno: spera!

Tornate, o rondini, vaghe, amorose,
   Vestite, o colli, i gai colori.
   Se siete simboli di liete cose,
   Tornate o fiori, tornate o fiori! 



1874


sabato 28 dicembre 2019

AMO

Amo le meste rondini
   Che salutan coi gridi il novo Aprile
   Del sol nascente al limpido fulgor.

Amo le brune mammole
   Che fioriscon tra l'erba più sottile
   Come pensier recondito d'amor.

Amo veder le fulgide
   Stelle ingemmar l'azzurro firmamento
   E la luna specchiarsi in seno al mar.

Amo tra querce e salici
   Udir dell'usignolo il pio lamento
   Che il core invita a gemere, ad amar.

Amo il mesto silenzio
   D'una notte serena allor che il fiore
   Più grato olezzo sparge intorno a me.

Amo ascoltare il flebile
   Suon della squilla che per l'etra muore
   E par che gema un doloroso - ahimé -!

Amo sul margo assidermi
   Del fiumicello che con lento passo
   Volve l'inargentato e fresco umor.

Amo veder la mobile
   Queta onda cader di sasso in sasso
   Che par che dica mormorando: "Amor".






1871

martedì 17 dicembre 2019

IL RITORNO

(DA UN QUADRO A OLIO)

Nina, rammenti l'ora dell'addio
   Là, presso l'olmo, al ciglio della strada?
   Mentre dicevi - deh! ti guardi Iddio! -
   Stringer volesti al fianco mio la spada.

         Oh! quanta lotta di pensier celati
      M'affaticava in quel momento il cor!...
      Oh! viva il re! quei giorni son passati,
      Oh! viva il re! ci rivediamo ancor!...

Cadeva il giorno: pensieroso e tetro
   Io del cavallo tormentava il fianco;
   Oh! quante volte mi rivolsi indietro
   Guardando i monti ed il villaggio bianco!

         Ah! forse mi darà la sepoltura
      La gaia terra, e non l'atteso amor!
      Ah! viva il re! tra le dilette mura
      Ah! viva il re! ci rivediamo ancor!

Là, sovra il campo il dì della battaglia
   Corsi primero col drappello mio,
   - Baleni il ferro, scoppi la mitraglia,
   Nina a quest'ora per me prega Iddio!-

         Vidi cadermi i più gagliardi allato
      Come sotto la falce i nuovi fior...
      Ah! viva il re! quel tempo oggi è passato,
      Ah! viva il re! ci rivediamo ancor!

Fervea la pugna: le recenti valli
   Splendean di trista luce in su la sera;
   Saettando tra i carri ed i cavalli
   Seppi tòrre al nemico una bandiera.

         E sul campo mi disser capitano,
      E mi detter la croce del valor;
      Ah! viva il re! non ho pugnato invano,
      Ah! viva il re! ci rivediamo ancor!

Mentr'io tornava, o Nina, al tuo villaggio,
   Provai l'ambascia d'un pensier crudele.
   - Mi splenderà del nostro amore il raggio?
   La mia fanciulla troverò fedele?...-

         Ma ti riveggo e il dubbio è dileguato,
      Tu mi sorridi e mi prometti amor!
      Ah! viva il re! dimentica il passato,
      Ah! viva il re! siamo felici ancor!



1877

sabato 14 dicembre 2019

A STANISLAO FAVI

CHE MI DEDICAVA LA BELLA MELODIA
"MARGHERITA IL PIU' GENTILE DEI FIORI"

Ed io tutte le mattina,
Riaprendo gli occhi al pianto,
Tra le nevi e tra le brine
Crederò d'udir quel canto...
(GROSSI)

Se un armonia celeste
   Di elette note, ora tranquille or meste
   Si udisse tremolar soavemente
   In selvaggio paese;
   Direi, che la divina arpa, fremente
   Temprando, un Angel su la terra scese.
   Or s'avvera il portento,
   Chè Tu, di dolci numeri maestro,
   A le mie selve il peregrino accento
   Mandi dei canti che t'ispira l'estro.
   Onde ben dir poss'io,
   Che un Angel venne al paesello mio.

Ascolto la canzone,
   Non veggo chi la crea!..
   Tal, misero prigione
   Canto di Menestrel dolce ricrea;
   Ma invan sospira, invano,
   Veder la cara armoniosa mano;
   E s'affanna e si duole
   In ardente desìo
   O la sua curva d'oro ascenda, il sole
   O splenda silenzioso l'astro pio;
   E chiede in suo dolore:
   "Ove se' tu, che mi favelli al core?"

Io così di te chiedo,
   Musico valoroso,
   Quando il canto amoroso
   A ridestar, che mi offeristi, io siedo
   Ritentando gli avori
   E gli ebani canori.
   Le tue note rivelo:
   E, contemplando il fiore
   Che da nome alla tenera Melode,
   Dico: perché non m'ode?
   Ov'è colui, che m'ha parlato al core?...




1874

lunedì 9 dicembre 2019

QUANTO MI FA RIDERE!

QUADRO A OLIO DEL SIG. SORBI

Da veste candida
Dissimulata,
La giovane vaga
Semisdraiata,
Sopra la seggiola
Meglio che assisa,
Si torce, palpita,
Muor dalle risa.
Più che la miro,
Par che nel ridere
Perda il respiro:
E là, nell'argolo
Della pupilla
Una spontanea
Lagrima brilla....
Oh! ma benone!
Che convulsione!
Oh! ma quel ridere
Vale un milione!

Le mani candide
Premon sul petto
Quasi con rabbia
Lieta un biglietto;
Dunque è la magica
Nota d'amore
Che ti fa ridere
Tanto di cuore?
O un motto gonfio
Pieno di niente,
Che vuole esprimerti
Quel che non sente?
Oppur risvegliati
Tanta allegria
Uno sproposito
D'ortografia?
Oh! disgraziato
Chi l'ha mandato!
Povero foglio
Com'è trattato!

Vedo sull'agile
Desco vicino,
Omaggio e simbolo,
Un mazzolino.
Di quanti palpiti
Fu testimone
Quel geroglifico
D'una passione!
I fior dell'anima
Son la carezza.
E a tanto simbolo,
O bella ingrata,
Puoi dare il premio
D'una risata?
Forse è allegria,
Forse ironia:
Forse una gaia
Filosofia....

Sai quel che valgono
Per tua ventura
Certi Alcibiadi
In miniatura!
Forse a chi ridersi
Di te sperava,
Rendi il ridicolo
Che ti serbava.
Invan si maschera,
Baratta i panni
Cangiando in Werther
Il Don Giovanni.
Tu, furba e provvida,
Di quel che vedi
Metà ne dubiti,
Metà nol credi.
E dell'inganno
Scansato il danno,
Ti colchi a ridere
Sul disinganno.

Oh! dacchè gli angeli
Son facce tinte
Per chi li esamina
Dietro le quinte,
Di affetti, gioie,
Venture e guai,
E' meglio ridere
Come tu fai.
Le forme olimpiche,
Quel bel colore,
Tre libre d'apide
D'attorno al core,
Che sanno renderlo
Invulnerabile,
Corazza morbida
Ma impermeabile,
Pigliar per fole
Fatti e parole....
Per poter ridere
Questo ci vuole!

Parlo, e dimentico
Graziosa bionda,
Ch'eterna è l'estasi
Tanto gioconda.
Quel labbro roseo
Non cangia tempre:
Anche fra un secolo
Riderà sempre.
E dir che l'opera
E' d'un pennello
Quel gaio fremito,
Quel volto bello!
Che un uomo, un genio,
Devoto al vero,
La vita, i palpiti
Dette a un pensiero!
Pensier loquace!
Quanto mi piace!
La musa in estasi
Ammira e tace.


1877


venerdì 6 dicembre 2019

STELLE CADENTI

Una libera interpretazione della poetessa sul fenomeno delle stelle cadenti.

Ieri la mia barchetta
Dal lido si staccò,
E la cortese auretta
D'intorno mi volò.

Mi carezzò le chiome
Col suo dolce alitar,
E per tre volte un nome
L'intesi mormorar.

Perché, sclamai, tu vuoi,
Aura, il suo nome dir?
Forse mi rechi i suoi
Dolcissimi sospir?

Oh! torna pure a Lei,
Dille ch'io l'amo ancor;
Ch'ell'è de' pensier miei
Regina e del mio cor.

Che mai più lieto giorno
D'oggi per me non fu,
Poi che vèr lei ritorno
Per non lasciarla più!

Taci, con un sospiro
L'aura rispose a me;
Ultimo gran martiro
Il ciel riserba a te.

Ritorna indietro; scorta
Al tuo vagar sarò;
La tua diletta è morta...
Dal dì che ti lasciò!...

Ciò detto l'aura mesta
D'accanto a me fuggì;
Sorse una ria tempesta
L'onda il suo seno aprì.

Trafitto in mezzo al core,
Nulla volea sperar;
M'abbandonai al furore
De lo sconvolto mar.

Ma una pietosa stella
A un tratto scintillò,
E rapida da quella
Un'ombra a me volò.

Sopra la mia barchetta
Venne a posare il piè.
Era la mia diletta
Che mi volea con sè.

Vieni, mi disse, un sole
Te accoglier deve ancor.
Credi alle mie parole...
Ivi s'eterna amor!

Quando gemmata e bella
Cresce la notte in ciel,
Da la mia vaga stella
Verrò a la tua fedel.

Disse: per man mi tolse
E lieta il vol spiegò;
Me quella stella accolse
Dove beato io sto.

Quando gemmata e bella
Cresce la notte in ciel,
Raggio di vaga stella
Corro a la mia fedel.

E tutte le alme amanti
Che morte ne rapì,
Vanno le stelle erranti
Ad abitar così.

Tacete, o voi Sapienti;
Quei rapidi splendor
Non son stelle cadenti
Ma son raggi d'amor.



da: POESIE INEDITE E POSTUME (1880)

sabato 6 luglio 2019

GASPARA STAMPA

- L'ultimo addio -

Da me che chiedi! Oh togliti
   Presto al mio sguardo, infido Cavalier:
   Omai t'abborro, e sdegnano
   Su te posarsi ancora i miei pensier.

Poi che sleale e barbaro
   Mi togliesti il conforto unico mio,
   Tanto affanno deridere
   Vuoi pronunziando questo vile addio?

Vanne, ed a' rai nasconditi
   D'ogni mortale che comprenda amor.
   Lo so che mi odi...oh lasciami...
   Non insultare almeno il mio dolor!

Ma poi che ardisci chiedermi
   S'io nulla brami dal tuo patrio ostello,
   Ti piaccia il clivo ascendere
   Ove nasce solingo un arboscello.

Non lo rammenti? è un lauro
   Che fidammo alla terra in altri dì!
   Ei, testimone immemore,
   E le promesse e i giuramenti udì!

In nome mio salutalo,
   Nel santo nome dell'antica fede;
   Poi, prega Iddio che un fulmine
   L'incenerisca da la vetta al piede.

Dovea, lo sai, ricingermi
   La poetica fronte quest allòr:
   Or si disperda l'arbore
   Come fu sperso il mio funesto amor.

Il suono lamentevole
   Che d'ora in poi governerà il mio canto
   Tu non udrai fra i palpiti
   E le dolcezze di un novello incanto.

Sii pur felice!...a piangere
   Io volentieri rimango...al mio martir
   Solo conforto ed unico
   Io chieggo d'obliarti, e poi morir!

1877