venerdì 24 gennaio 2020

MARIA VIRGINIA FABRONI di Gabriella Musetti

Breve nota su Maria Virginia Fabroni
(Tredozio 2 dicembre 1851 - 10 agosto 1878)
di Gabriella Musetti

Tredozio è un piccolo comune della provincia di Forlì- Cesena, per secoli
 terra di frontiera traToscana e Stato Pontificio, situato nella valle del 
Tramazzo, da sempre zona di passaggio tra Toscana e Romagna; la sua
configurazione pubblica è cambiata nel tempo passando sotto diversi
domini che hanno lasciato tracce nella urbanistica del luogo, circondato
da colline boscose. Qui nasce nel 1851 Maria Virginia Fabroni, in
una famiglia abbiente della borghesia proveniente dal vicino comune 
di Marradi, prima figlia di quattro sorelle e fratelli.
Nel 1862, a undici anni, la giovane viene mandata dal padre, il medico 
Giuseppe Fabroni, al Conservatorio S. Anna di Pisa, istituzione 
educativa di nobili e antiche tradizioni, dove nel 1868
consegue il diploma di clavicembalo e a settembre dello  stesso anno torna
 a casa a Tredozio, lasciando il Collegio e le compagne amiche care 
con cui aveva condiviso la formazione e la vita per sei anni.
A Pisa Maria Virginia coltivò, insieme alla musica, un'altra avvincente passione: 
la letteratura e la poesia. Con l'aiuto del Cavaliere Ingegnere Paolo Folini, 
presidente del Conservatorio, che aveva osservato le notevoli qualità intellettuali
della ragazza e ne favorì la crescita culturale, Maria Virginia studiò
intensamente i poeti della tradizione letteraria italiana: Dante, il Dolce 
Stil Novo, Petrarca, Gaspara Stampa, Torquato Tasso, e anche i poeti del 
recente passato e della contemporaneità: Parini, Monti, Foscolo, Manzoni, 
Leopardi, Prati, Zanella, Giusti. In questa atmosfera di fervore intellettuale 
e patriottico, nacquero le prime prove poetiche dell'autrice giovanissima,
 favorite dai contatti più allargati che una città universitaria e colta come Pisa
consentiva (non dimentichiamo che da Pisa era partito un battaglione 
universitario, formato da docenti e studenti, nella famosa battaglia 
di Curtatone e Montanara nel 1848, e che con una legge
del 1862 il recente Stato italiano decretò l'Università di Pisa una delle sei 
Università primarie nazionali, con Torino, Pavia, Bologna, Napoli e 
Palermo). In tale contesto la giovane si avvicinò alle idee risorgimentali 
dimostrando una propensione per la poesia civile e intrattenendo
corrispondenze, poi proseguite al suo ritorno a Tredozio nel 1868, con 
numerosi intellettuali e artisti del tempo: dal grande Niccolò Tommaseo 
a Giannina Milli, nota poetessa abruzzese di origine, ma
vissuta in numerose città italiane (Roma, Milano, Firenze) anche 
a seguito del marito, Provveditore agli Studi e lei stessa direttrice 
didattica, improvvisatrice di versi di carattere patriottico letti in
accademie e salotti letterari. Maria Virginia entrò in contatto con diversi 
scrittori contemporanei, come si evince dalla sua produzione letteraria 
e dalle copiose lettere. Altri corrispondenti di Maria Virginia furono il 
compositore siciliano Errico Petrella, autore di numerose opere liriche, e il pittore
Silvestro Lega, considerato tra gli esponenti del movimento dei Macchiaioli, 
che soggiornò presso la famiglia e fece anche un ritratto alla poetessa.
Come già indicato in diversi contributi di studiosi sulla figura della poetessa, tra 
cui quello di Antonio Cattino , Maria Virginia Fabroni entrò in contrasto 
con la famiglia e in particolare con il padre, uomo autoritario che voleva 
maritarla con pretendenti di censo da lei non amati, mentre la
poetessa amava un giovane non ben visto dalla famiglia. 
Questa sua opposizione alla legge famigliare, in un tempo in cui la 
ribellione filiale era assai rara e complessa, e in un luogo così
remoto dai circuiti sociali più aperti della società contemporanea, 
restituiscono di lei una immagine di donna non subalterna o mite, 
ma piuttosto battagliera, amante della libertà personale e della
autonomia della donna nella società; per questa sua ribellione 
ebbe a soffrire forti restrizioni nella sua vita personale. Riuscì tuttavia anche a 
mettere a calendario la data delle nozze con il giovane amato,
 ma purtroppo morì di tisi tre mesi prima dell'evento.
Della poetessa, che pubblicò numerose raccolte in vita , è uscito
nel 2019 il volume Maria Virginia Fabroni, Poesie scelte (Tempo al Libro, Faenza),
a cura di Lorenzo Bosi, Maria Grazia Nannini e Barbara Verni, 
in occasione della seconda edizione del Festival di Poesia Tres Dotes 
(12-14 luglio,Tredozio) e del Concorso Letterario a lei dedicato 
dal Comune di Tredozio. Il volume raccoglie in forma antologica 
numerose poesie pubblicate in diverse raccolte e ormai introvabili, quindi
rappresenta un contributo importante per riaccendere l'attenzione verso 
la produzione poetica dell'autrice, che merita indubbiamente 
una considerazione critica appropriata, di cui questa nota
vuole essere un piccolo passo.
Scorrendo il volume si osservano diverse questioni significative, 
che possono fornire uno sguardo innovativo sugli studi relativi
alla poetessa tredoziese.
Intanto la sua formazione letteraria, svoltasi in gran parte a Pisa,
poi proseguita a casa attraverso libri e rapporti epistolari intrattenuti 
soprattutto con Folini, benché sostanzialmente privata (come in
più contributi si sottolinea) fu piuttosto ricca di letture e frequentazioni 
letterarie, come si può riscontrare dalle numerose citazioni e rimandi 
nelle sue poesie ai versi di Dante, Petrarca, Foscolo, Leopardi, Manzoni,
e altri autori. Ad esempio nella poesia “Tredozio” i «dumi» (pruni, spini), 
sono rimando petrarchesco; «Apriche piagge» de “Il luogo natio” 
è un vero ricalco di Petrarca, così come gli «augelletti» della stessa pagina, 
mentre il «desiato mio nativo suol» richiama Leopardi, così
come «le donne all'opre femminili intente» della canzone 
“A Italia” richiama ancora Leopardi e il «tuo cener muto» 
di “A Giuseppe Giusti”, rimanda a Foscolo. E così via. 
Quindi queste tracce letterarie mettono in luce letture e 
conoscenze di un certo spessore e allontanano l'immagine di una
poetessa che avesse soltanto doti di produzione poetica cosiddette 
'naturali' o ingenue. Altre considerazioni vanno fatte sulla metrica 
usata nei testi. La costruzione degli endecasillabi,
peraltro alcuni di notevole interesse e scioltezza, si affianca alla scelta 
di altri metri, soprattutto il settenario dal ritmo estremamente mobile 
e il quinario, ma con la presenza di senari che rompono il
ritmo della tradizione, e con la costruzione di composizioni che 
vanno dalla canzone all'ode, alla strofa saffica, alla sestina e a diverse 
altre forme compositive con le quali si confronta. Ad esempio
nella poesia “Tredozio” la costruzione è assai raffinata, con una catena 
di endecasillabi formati da quattro versi a rima alternata e due a 
rima baciata, formando sequenze continue dove i rimandi
fonici e ritmici sono molteplici. Interessante risulta la scelta 
della poesia “Il luogo natio” in cui la poetessa alterna in ogni verso 
un endecasillabo piano e uno tronco (sempre con l'accento in decima
posizione ma più corto del precedente e del successivo), tale da creare 
un ritmo molto più mobile e cadenzato. Anche queste soluzioni 
denotano studio e riflessione compositiva e sono lontane da una
forma di poesia naturale.
Ma ancora sul tema della preparazione letteraria vale la pena 
soffermarsi sulle tre composizioni presenti nel volume dedicate 
rispettivamente a Gaspara Stampa (“Gaspara Stampa - l'ultimo
addio”), “Cleopatra” e “Saffo allo scoglio”: sono scritte sul modello 
delle Eroidi di Ovidio, lettere d'amore in versi che le tre autrici 
scrivono ai loro amanti, lettere di donne abbandonate o tradite.
L'autrice si cala nella biografia letteraria delle eroine e canta per loro. 
E oltre alla frequentazione della letteratura emerge qui, come altrove, 
l'animo forte della poetessa quando chiede una punizione
esemplare per i traditori. Anche la rima semanticamente 
ardita della poesia dedicata a Saffo, tra 'tempio' e 'scempio' come 
opera rovinosa dell'Amore sulla vita della donna segna una presa di
posizione e una visione per nulla romantica ma consapevole della 
condizione delle donne nella realtà contemporanea.
Numerose composizioni immergono chi legge in un paesaggio dolce, 
colto con accenti suggestivi e personali, come nel già citato “Tredozio”, 
che affianca al tema del mito fondativo del borgo amato,
di origine classica, il simbolo delicato e lieve della Viola, fiore profumato 
ritroso e nascosto, che bene rappresenta le caratteristiche del luogo. 
Anche in questa poesia la poetessa non si sottrae a una
osservazione sulla considerazione delle donne nella società: benché 
le tre sorelle avessero dato origine al paese impegnando le loro personali 
cospicue doti nessuna lapide ricorda i loro nomi,
scomparsi nella rovinosa cancellazione della memoria nel tempo che scorre.

Lapida qui non v'ha che le rammenti
ai posteri, che il tempo inesorato
seco si porta ratto al par dei venti
fin l'estrema memoria del passato; 

Una copia interamente digitalizzata di Ricordo, primo libro di Maria Virginia,
 edito dalla tipografia Nistri di Pisa nel 1869 si trova nella Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze. Questo libro è particolarmente interessante
per cogliere la produzione della giovane autrice: ci sono liriche
appartenenti al periodo pisano (1867-1868, l'autrice aveva 16 -17 anni) e
una Appendice scritta dopo il ritorno a Tredozio (da novembre 1868 -
ad aprile 1869). L'atmosfera del libro è gioiosa nel ricordo della vita di
Collegio, le amiche, il giardino dove trascorrevano il tempo libero, la
comparazione delle fanciulle ai fiori, in particolare alle rose, la bellezza
che dura un tempo breve e poi fugge, le farfalle volubili ma libere,
l'esortazione alla fermezza d'animo, le viole mammole che
sanno stare al proprio posto, le numerose dediche alle compagne
amate: Fillide, Ersilia, Fanny, Elisa, anche in occasione della ripresa
da una malattia, del ritorno al vigore fisico e ai colori vividi
del volto, o per un onomastico. Il topos del giardino fiorito è un
locus amoenus, luogo idealizzato e piacevole dove trascorre la vita
del gruppo di amiche che vivono insieme la crescita, la formazione
nella relazione affettuosa tra di loro, nel rapporto con la natura, nella
prefigurazione dei ruoli futuri della vita adulta che sta giungendo,
nel confronto con il mondo esterno da un luogo privilegiato.
E' il punto di vista di una giovinetta vivace, che osserva con attenzione
e partecipazione emotiva la vita circostante, ma non sottrae lo sguardo
critico sulla realtà. Più melanconiche sono le poesie di
addio, alla città di Pisa, al Cavalier Ingegner Paolo Folini, al
Conservatorio di Sant'Anna (4 settembre 1868) in cui si
sofferma sull'atto definitivo dell'addio a luoghi e persone fondamentali per
la propria crescita culturale e soggettiva, e verso i quali mostra riconoscenza:

Cara memoria eterna
Nell'alma avrò scolpita
Di quei che a me dischiusero
Fonte di nuova vita
Che a me svelaro provvidi
Le spine del sentier. 

Ma anche in questa occasione non si lascia andare a sentimenti di
cupa tristezza, rivela un animo forte e vigoroso:
 «...nell'alma / Che fia dal duolo oppressa / Infonderà la calma /...»
Questa giovane poetessa seppe anche essere ironica, allegramente
critica, come nella composizione scritta al suo maestro Canonico
Giovanni Corucci in occasione di un esame, e non a caso scelse il
metro settenario che rende più vivace il dettato. Dopo aver chiesto
al maestro di non essere troppo severo nelle domande e nella
valutazione rimarca la sua distanza da alcuni grandi personaggi della
latinità portati a comune esempio di condotta proba e di studi eccelsi:

Ed è per me insoffribile
Il rigido Catone
Né mi va molto a genio
il dotto Cicerone. 

Questo tono scherzoso sottende una libertà di giudizio precoce e una presa
di posizione autonoma nelle scelte della disciplina letteraria.
Della libertà di giudizio di Maria Virginia Fabroni e del suo sguardo
critico è data testimonianza anche da una poesia
“Quanto mi fa ridere! Quadro a olio del sig. Sorbi”, del 1877, di non chiara
collocazione di edizione, pubblicata sul blog a lei dedicato. Si tratta
di un dipinto che rappresenta una donna giovane e bionda che ride
leggendo un bigliettino seminascosto nel suo seno, colta
seduta in una stanza borghese con un tavolo vicino sul quale è poggiato
un mazzolino di fiori. E' una vera e propria ekphrasis in cui la poetessa
gioca sui diversi significati della scena: un biglietto d'amore non corrisposto,
un errore di ortografia, uno scherzo che si ritorce contro chi l'ha tramato.
Ciò che importa è lo sguardo divertito e critico della donna che osserva il dipinto,
la sua scelta di giudizio autonoma e non la garbata osservanza delle norme
sociali che vuole la donna sempre oblativa e modesta.

Oh! dacché gli angeli
Son facce tinte
Per chi li esamina
Dietro le quinte,
Di affetti, gioie,
Venture e guai,
E' meglio ridere
Come tu fai.
Le forme olimpiche,
Quel bel colore,
Tre libre d'apide
D'attorno al core,
Che sanno renderlo
Invulnerabile,
Corazza morbida
Ma impermeabile,
Pigliar per fole
Fatti e parole.... 

Maria Virginia Fabroni era estremamente consapevole del compito
che si assume chi è chiamato alla poesia. Nella composizione
“Nella sera del 6 novembre 1876 in occasione delle nozze della
sorella” assegna a sé un ruolo specifico, tratteggiando un
confronto con la novella sposa:

Tu vaghi fior d'eterna fragranza
troverai sempre lungo il tuo sentier
io la severa, ma immortal speranza
che per ignote vie conduce al ver. 

Un compito difficile ma sentito come imprescindibile da sé, da portare
a compimento con la  severità, il rigore e lo studio di chi nutre questa
forma d'arte, capace di dare senso e compiutezza alla vita.
Da notare anche l'interrogazione seminascosta ma evidentemente frutto
di pensiero ricorrente da parte dell'autrice sulle modalità della scrittura
poetica «per ignote vie». Un capitolo a parte merita la poesia civile e
risorgimentale. Sono numerosi i testi, nelle diverse raccolte, che propongono
un impegno pubblico dell'autrice, da commemorazioni di eventi pubblici
di particolare rilevanza, come “Pisa riceve la terra di Palestina”,
“Per la morte di Rossini”, “Al Conservatorio del SS. Sacramento di Fognano”,
a poesie indirizzate a intellettuali e autori del suo tempo con cui sente una
particolare affinità e un debito culturale, come “A Giacomo Leopardi”, “A
Giuseppe Giusti”, “Ad Aleardo Aleardi”. Ma l'ispirazione patriottica più
decisa, in una sorta di richiamo probabilmente proveniente dalla canzone
“All'Italia” dello stesso Leopardi è il componimento “A Italia” (1877), in cui
Maria Virginia apre a una dichiarazione di amore per la propria nazione:
«m'allegro d'esser nata / in questa dell'amor terra immortale».
Dopo l'affermazione di essere fiera della nascita italiana e l'omaggio,
consueto nel suo tempo, alla figura di Francesco Ferrucci, come esempio
di coraggioso combattente capace di morire, tradito, per la Repubblica
Fiorentina, quindi ideale modello risorgimentale di virtù e onore, e dopo
la felicità espressa per l'unità statale finalmente raggiunta, la poetessa mette
in rilievo con voce ferma e depreca le contemporanee violenze e vendette
che ancora si perpetrano nel Paese:

Spezza la punta del pugnale ascoso,
che in man di genti abiette,
tremendo, misterioso,
di libertà nel nome aspre vendette
compie nell'ombra delle tue contrade.
Questo non è desio
di pace né di gloria
che move a conculcar Cesare e Dio,
questa è vergogna della nostra etade
che inesorata narrerà la storia! 

Quindi volge lo sguardo ancora una volta alle donne e auspica che oltre a
essere «all'opre femminili intente / anco a severi studi / sommettano la mente»,
capovolgendo il riferimento leopardiano verso una scelta di crescita
personale e culturale di autonomia.
Spesso nei testi emergono valutazioni assai serie e severe sulla vita,
che pongono la poetessa come persona matura e riflessiva oltre la propria
 età anagrafica. Ad esempio nella poesia “A Maria Vergine” (1873), che
connota una tensione autenticamente religiosa presente anche in altre poesie,
si legge:

A me fidar non piacque
mai nell'altrui conforto.
Solo il mio cor si giacque
fatto de le tristizie umane accorto.
Cadde il velo a’ miei sguardi
del tempo che sognai:
e gli omaggi codardi
e gli affetti mentiti io li disprezzai.

Dichiarazioni forti che suggeriscono un animo deciso, capace di scegliere
il proprio tracciato di vita non facendosi influenzare dalla famiglia o
dai costumi della società del tempo. E non si può non
notare che a questa poesia è posto un breve esergo di  Manzoni che recita:
 «La femminetta nel tuo sen regale / la sua spregiata lacrima depone...».
Appare chiaro l'intento di Maria Virginia di prendere le distanze
volutamente da una tale rappresentazione spregiativa delle donne.
Nella poesia “Scrive e non ama” (1876), composta per rispondere
a una domanda del fidanzato della cugina che chiedeva notizie della
 poetessa, scrive di sé:

Non c'è nulla di vero
in questo sonno che si chiama vita
e i sogni del pensiero
sono sconforto e vanità infinita.
Ella scrive e oblia
molto: oblia quasi tutto in seno all'arte; 

L'enjambement e la ripetizione della parola 'oblia' danno un carattere
di solennità alla dichiarazione della poetessa. Senza avere una
visione pessimistica della vita mi pare che Maria Virginia Fabroni
mostri una sicurezza acquisita nella determinazione a fare scelte
soggettive di libertà, controcorrente, e a rendere lo spazio della
creazione artistica il vero e proprio ambito decisamente
agognato di una relazione autentica.
Anche la poetessa fa parte di quella schiera numerosa di autrici
dimenticate, mal conosciute, o di cui si sono nel tempo perse le
tracce, sebbene avessero raggiunto, come la stessa Maria Virginia,
attestazioni di notorietà e considerazione da parte di molti critici e
intellettuali del proprio tempo. Ridare spazio e attenzione a queste
figure significative del passato è un lavoro meritorio che va
proseguito e ampliato perché riporta in circolazione opere disperse
e introvabili e offre una conoscenza più compiuta e attendibile
della storia letteraria e culturale del nostro paese, in particolare delle
periferie.


Maria Virginia Fabroni
adolescente


sabato 4 gennaio 2020

UN'ORA DI MELANCONIA

Or che l'estremo raggio del sole
   Dietro quel monte lento dispare,
   E sembra spengersi tanto fulgore
   Nell'infinita plaga del mare;

Or che una lieve gelida brezza
   Come un concerto di voci meste
   Nel vicin prato spinge e carezza
   L'ultime foglie delle foreste;

E l'onda rauca scende e si frange
   Sui bianchi ciottoli senza riposo
   E un invisibile ente che piange
   Pare, o lontano spirto amoroso:

Quante memorie meste e gradite
   Nell'alma in folla sento tornare!
   Tal che mi sembrano l'onde infinite,
   Che senza requie s'alzano in mare.

Tutti mi sorgono a gara innante
   Soavi immagini, sogni beati,
   E tutti domina caro un sembiante
   Come la mammola i fior dei prati.

Ma la memoria del tempo lieto
   Se pur conforto porge talora:
   Però rimpianto desta secreto,
   E in novi spasimi l'alma dolora.

Vorremmo struggere quel bel passato
   Che nulla speme abbiam che torni,
   E derisione ci par del Fato
   L'immago assidua de' cari giorni.

Ah! quell'immagine cara, spietata,
   All'ime latebre del cor s'appiglia,
   Siccome al valido scoglio attaccata
   Co' suoi tesori stà la conchiglia...

E' questa l'ora della memoria
   Che novi palpiti desta nel petto;
   Sdegno, ambizione, desìo di gloria,
   Tutto sparisce...regna l'affetto.

Oh! chi può dire l'ansia secreta,
   La speme, il dubbio, oh! chi può dire,
   Quando lo spirito scorge una meta,
   Un punto fulgido nell'avvenire?...

Quando lontani da chi s'adora
   Nel rio sospetto di lungo oblio
   Si pensa...forse...forse a quest'ora
   Un cor gentile batte col mio?...

Ah! forse un caro sguardo lontano
   Segue la curva delle montagne,
   Ed oltre quelle cerca, ma invano,
   Queste gelate tetre campagne!

Forse contempla pensoso e muto
   L'urna appassita di un mesto fiore,
   Ed alle rondini fida un saluto
   Che a me lo porti nel mio dolore!...

E' sogno, è sogno, che poi s'invola
   Come la tenebra per la mattina;
   E' sogno, è sogno, che un'ombra sola
   Di dubbio dissipa come la brina.

Oh! ma se il dubbio, se lo sgomento
   Solo durasse nel freddo verno,
   E se un amico pietoso accento
   Dicesse il duolo non sarà eterno!

Oh sì! lo spero!... Verran le rose,
   Verran gli uccelli co' nuovi amori;
   Se siete simboli di liete cose,
   Tornate o fiori, tornate o fiori!

La neve sciogliersi vedrò sul monte
   Ai molli Zeffiri di primavera,
   Che carezzandomi il crin, la fronte,
   In dolce mormoro diranno: spera!

Tornate, o rondini, vaghe, amorose,
   Vestite, o colli, i gai colori.
   Se siete simboli di liete cose,
   Tornate o fiori, tornate o fiori! 



1874