giovedì 12 novembre 2020

NOTA BIOGRAFICA DI MARIA VIRGINIA FABRONI

 ARTICOLO A CURA DI LAURA VARGIU

Estratto dal blog: ZONA DI DISAGIO

Venuta a mancare a soli ventisette anni ancora da compiere, la poetessa Maria Virginia Fabroni era morta da appena un mese quando, nel settembre del 1878, una rivista[1] riportò il suo nome tra quelli delle donne italiane più famose del XIX secolo. Un riconoscimento di certo prestigioso per una giovane che, già da tempo, si era distinta per l’alto valore letterario dei suoi scritti, pubblicati in volumi presumibilmente diffusi a livello nazionale.


Eppure, la maggior parte degli italiani di oggi non ha mai sentito parlare di lei, ignorandone del tutto l’opera. Dopo circa centoquarant’anni di oblio, è stata riproposta una piccola parte della cospicua produzione di questa dimenticata “ragazza talentuosa”, come l’ha definita l’editore Mauro Gurioli che nel 2019 ha pubblicato una raccolta di poesie scelte[2] con il proprio marchio editoriale Tempo al Libro, piccola casa editrice di Faenza che, con coraggio, si è fatta carico di un recupero storico-letterario quanto mai doveroso.


Ed ecco riaffiorare così dalla polvere del tempo la figura di Maria Virginia Fabroni, nata il 2 dicembre del 1851 nel piccolo paese di Tredozio (oggi in provincia di Forlì-Cesena); di famiglia agiata (il padre era medico ed economo), poté dedicarsi agli studi musicali che, dal 1862 al ’68, la portarono al Conservatorio di Sant’Anna di Pisa, dove coltivò anche la passione per la scrittura in versi. Non ancora diciassettenne, nella città toscana diede alle stampe la sua prima raccolta di poesie, Ricordo, con la locale Tipografia Nistri, alla quale affiderà diverse pubblicazioni fino al 1877, anno che vide il suo esordio, con la raccolta di racconti Bozzetti famigliari, presso il famoso editore Treves di Milano, attivissimo nell’Italia post-risorgimentale fino alle leggi razziali dell’ingloriosa era fascista. Con quest’ultimo avrebbe forse un giorno pubblicato anche i suoi testi poetici, se l’anno successivo non fosse sopraggiunta la morte a causa della tubercolosi. Nel 1880 il padre, con il quale in passato la ragazza si era scontrata rivendicando il diritto di opporsi a un matrimonio combinato, fece pubblicare una raccolta postuma delle poesie inedite che aveva trovato tra le carte della figlia. Ritratta all’età di vent’anni dal noto pittore macchiaiolo Silvestro Lega e recensita sui principali periodici del suo tempo, la poetessa tredoziese, di cui rimangono anche i carteggi con altri letterati, tra cui Niccolò Tommaseo, era stata addirittura accolta in alcune accademie, traguardo difficile e ragguardevole, all’epoca, trattandosi di una donna.


Oltre al profilo biografico, sono state riportate alla luce dai curatori del volume ventisette liriche, tutti testi, stilisticamente, di chiara impronta ottocentesca. Da “Tredozio”, che celebra il borgo natio, a “Musica e poesia”, da “A Maria Vergine” a “Cleopatra”, da “Per la morte di Rossini” ad “Amore”, la sfera pubblica e quella privata s’intrecciano nei versi raccolti in queste pagine, restituendoci una Fabroni che si fa al tempo stesso poetessa religiosa, civile e patriottica, così come poetessa d’amore e fine letterata.


Ella scrive e non ama […]/ Non c’è nulla di vero/ in questo sonno che si chiama vita/ i sogni del pensiero/ sono sconforto e vanità infinita. […]” (da “Scrive e non ama”, 1880)


Non sfuggono, sparsi qua e là, echi della poesia leopardiana, della quale, con tutta evidenza, la giovane doveva essere stata un’appassionata lettrice, né resta inosservata una scrittura che si adorna, all’occorrenza, di termini ricercati e particolarmente dotti, segno di una preparazione linguistico-culturale di non poco conto attraverso la quale si dà addirittura voce a una Saffo che prende tragicamente commiato dal mondo

 (“[…] Addio patria, addio luna, selve addio/ che del mio dolce canto/ talor sonaste! Addio soave incanto/ d’una notte stellata!/ Immenso mare, che l’amante rio/ lontano sovra l’onda tua turchina/ portasti un dì da questa sciagurata, che ad eterno dolor Fato destina […]”)

 o a una Gaspara Stampa dal cuore anch’esso non meno tormentato 

(“[…] Il suono lamentevole/ che d’ora in poi governerà il mio canto/ tu non udrai fra i palpiti/ e le dolcezze d’un novello incanto. […]”). 

Di sperimentazione metrica e originalità, riguardo alla poesia di Maria Virginia Fabroni, parla Luca Cenacchi nel suo breve saggio critico conclusivo, mentre Barbara Verni e Lorenzo Bosi, tra i curatori del libro, sottolineano la sua “personalità decisa e passionale, pronta a rivendicare l’autonomia del pensiero delle donne in un mondo dominato dal conformismo borghese.”


“[…] le donne all’opre femminili intente,/ anco a severi studi/ sommettano la mente./ A lor non prema aver fama di belle,/ ma plauso al senno e a nobili virtudi.” (da “A Italia”, 1877)


Una raccolta notevole e preziosa, quella pubblicata dunque lo scorso anno, che spezza l’inqualificabile silenzio da parte di critici e studiosi e colma infine un vuoto durato troppo a lungo, consentendo ai lettori di riappropriarsi di un’autrice meritevole tutt’altro che di dimenticanza. Una lettura doverosa per tutti gli amanti della poesia. Già da qualche tempo, inoltre, contribuisce a riportare in auge il nome della Fabroni anche un concorso letterario a lei intitolato, giunto nei mesi scorsi alla quarta edizione, attraverso cui il comune di Tredozio rende onore alla sua illustre cittadina.


Laura Vargiu


[1] L’Unione, cronaca capodistriana, 9 settembre 1878.


[2]Maria Virginia Fabroni, Poesie scelte, Tempo al Libro, 2019 (a cura di Lorenzo Bosi, Maria Grazia Nannini, Silvia Ricci e Barbara Verni, pagine 128, € 12,00 – ISBN 9788832157055)




Nessun commento:

Posta un commento