martedì 3 marzo 2020

IL MONASTERO - LEGGENDA

                    I
    All'arduo monte in vetta
S'innalza il Monastero;
Ma non ridestan l'eco i sacri canti
De' Cenobi santi.
Inculta, solitaria è la selvetta,
Pien di sterpi 'l sentiero
Che vi conduce; le vetuste mura
L'edera flessuosa
Cinge di sua verdura;
La maestosa porta
Da gran tempo non s'apre:
Tutto qui tace, e sol l'aura odorosa
Sibilando ne porta
I lontani profumi:
E le selvagge capre
Brucan talor tra le ruine e i dumi.

   Della squilla sonora
Più non s'odon gli accenti,
Che a mezzodì, al tramonto ed all'aurora
Chiamava al tempio un giorno
I devoti credenti.
L'altare è disadorno,
E da ben lunga etade aspetta invano
Che immacolata mano,
Come una volta, quando sorge il sole
L'Ostia di pace immole.

   Ahi! di cotanto scempio
Qual fu la cagione? Gli eletti custodi
Dell'obliato tempio
Ove ne andaro? Le divine lodi
Perché non sonan piu?... Ah! più non vive
Il nobil ministero; e sol si ascolta
Sotto la sacra volta
Lagnarsi il gufo col suo infesto accento
Che a le solinghe rive
Mesto ridice il vento!
Una proterva guerra
Tal fe' governo della sacra terra!

                    II

   In altri dì fioria
Di molto sapienti sacerdoti
La solinga Badia;
Quando un'orda di Goti
Con le insegne del barbaro Alarico
Salì di notte armata,
Sitibonda di strage, avida d'oro,
Al pio recinto antico;
E da lontano udì la misurata
Lenta armonia de' Cenobiti in coro.
Un rimorso improvviso,
Una pietà, che non conobber mai,
Il passo a quei ladron rese indeciso.
L'alto silenzio che regnava intorno,
La bruna selva, il murmure del vento,
I verecondi rai
Di mesta luna, che sul pio soggiorno
Stendeva un vel d'argento,
Tutto parlava di quei fieri al core,
Non di strage, ma d'amore.

   Ma la rapina, l'odio inveterato
Verso il nobile altare
E i suoi ministri santi,
Ebber ne l'alme prave trionfato.
In men ch'io'l dico, le crudeli, avare
Voglie su quei sembianti
Si parvero più vive: la dimora
Inviolata e sacra infino allora,
Forzar protervi; il tempio
Donde dì e notte al sommo Dio s'ergea
La dolce salmodia,
Or de la turba la bestemmia rea
Alto sonar udìa!
   Oh! novo, orrendo scempio!
Ad uno ad uno ne' medesmi scanni
Donde il sospir de core
Levavano al Signore,
Furono quegli innocenti
Insultati, battuti; e manco agli anni
Gli empi non perdonaro,
E dei giovani al paro
Degli egri e dei cadenti
Aspro si fè governo.
Ad uno ad uno all'ara que' rubelli
Li trascinaro avante
Aprendo un riso che parea d'inferno.
E i martiri, seguendo i sacri canti,
Ad uno ad un perir sotto i coltelli.
     Ma la strage fornita
La terra si commosse,
E con tremende scosse
Da le profonde viscere eruttava
Zolfo ardente e bitume,
Che avvenne?...aita, aita!...
Disperato gridava
Lo stuol di quei feroci:
Ma di repente per sinistro lume
Splendè la chiesa; di confuse voci
Udissi un mormorio....
Foco per tutto divampava i tristi,
A quel foco commisti,
Ridda faceano orrenda.
Così per essi cominciò tremenda
La vendetta di Dio!...

                   III

   L'alba spuntò, come d'usato, bella
Sul cheto Monastero,
Ma una innocente vaga pastorella,
Che ogni dì rifacea
Il romito sentiero,
Perché al convento dimandar solea
Un obolo al padrin limosiniere,
Vide dell'ombre nere
Vagolar quivi intorno
E fuggir paurose in faccia al giorno.

   Tremò la fanciulletta
D'una arcana paura,
E tornassene a casa in tutta fretta,
E narrò palpitante l'avventura.
Un giovinetto udilla
Che pel più coraggioso si tenea
Che fosse in quella villa
Egli, mentre la luna alto sorgea,
Cheto e solingo incominciò 'l sentiero
Che mena al Monastero.
   Ma, poiché arrivò poco lontano,
Udì lamenti in un linguaggio strano;
E spettri vide, quali in bianche vesti,
Quali avvolti nel foco,
Mandare accenti mesti,
Parlar sommesso e fioco;
Incontrasi tra i claustri, ire e venire,
Apparire e sparire.
   Più non volle il pastore; ei senza voce,
Senza moto rimase.
Fece il segno della croce,
E come prima alquanto si riscosse,
Borri saltando e fosse,
Tornò tutto smarrito alle sue case.
   Venne il mattino e tutto
il queto paesello
Seppe l'evento: a sempiterno lutto
Lasciossi 'l chiostro in altri dì sì bello.

   Ancor tra quella gente
Tanta memoria dura.
E mentre fuori stride l'aura algente,
Ne le veglie d'inverno
Presso 'l suo focolare
Il semplice villan tutto in paura
Di barbari spettri e dell'inferno,
S'ode trista leggenda anco narrare.
E se nel chiedi, ei dice
Che quando fa la luna e tace il vento
Pel piano e la pendice,
Tutta una fiamma par l'ampio convento;
E s'odon grida per l'aria serena
Come d'anima in pena.
   Ond'è che quelle mura
E que' giardini infesti
Sempre saranno, e nel passarvi attorno
Ne invaderà paura.
Cadrà sasso per sasso il bel soggiorno.
Finché nulla ne resti!...
   Tutto par morto quivi,
Qui regna lo squallore!
E inaridisce, se vi spunta il fiore.
Da qui 've l'innocente
Sangue versossi a rivi,
Rifugge tutta gente,
Che vede nelli spettri ed in quel foco,
Che pare incenda il loco,
Dove compiessi il crimine più rio,
La vendetta di Dio!



Da Versi 1874

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