Ieri la mia barchetta
Dal lido si staccò,
E la cortese auretta
D'intorno mi volò.
Mi carezzò le chiome
Col suo dolce alitar,
E per tre volte un nome
L'intesi mormorar.
Perché, sclamai, tu vuoi,
Aura, il suo nome dir?
Forse mi rechi i suoi
Dolcissimi sospir?
Oh! torna pure a Lei,
Dille ch'io l'amo ancor;
Ch'ell'è de' pensier miei
Regina e del mio cor.
Che mai più lieto giorno
D'oggi per me non fu,
Poi che vèr lei ritorno
Per non lasciarla più!
Taci, con un sospiro
L'aura rispose a me;
Ultimo gran martiro
Il ciel riserba a te.
Ritorna indietro; scorta
Al tuo vagar sarò;
La tua diletta è morta...
Dal dì che ti lasciò!...
Ciò detto l'aura mesta
D'accanto a me fuggì;
Sorse una ria tempesta
L'onda il suo seno aprì.
Trafitto in mezzo al core,
Nulla volea sperar;
M'abbandonai al furore
De lo sconvolto mar.
Ma una pietosa stella
A un tratto scintillò,
E rapida da quella
Un'ombra a me volò.
Sopra la mia barchetta
Venne a posare il piè.
Era la mia diletta
Che mi volea con sè.
Vieni, mi disse, un sole
Te accoglier deve ancor.
Credi alle mie parole...
Ivi s'eterna amor!
Quando gemmata e bella
Cresce la notte in ciel,
Da la mia vaga stella
Verrò a la tua fedel.
Disse: per man mi tolse
E lieta il vol spiegò;
Me quella stella accolse
Dove beato io sto.
Quando gemmata e bella
Cresce la notte in ciel,
Raggio di vaga stella
Corro a la mia fedel.
E tutte le alme amanti
Che morte ne rapì,
Vanno le stelle erranti
Ad abitar così.
Tacete, o voi Sapienti;
Quei rapidi splendor
Non son stelle cadenti
Ma son raggi d'amor.
da: POESIE INEDITE E POSTUME (1880)
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