VERSI DEDICATI ALL'ILL. mo CAV. PAOLO FOLINI
Operaio del R. Conservatorio di S. Anna di Pisa
DEDICA
A Te, Signor, di mia nascente Musa,
Presento un frutto, ossequiosa e umile,
Deh! I molti error che troverai ne scusa;
Anzi l'accetti il tuo bel cor gentile;
Or questi sono inver piccioli fiori;
Ma spero offrirti un dì frutti migliori. -
PRIMAVERA
Dolci compagne, oh! ditemi
Chi più di me è vezzosa?
Io reco l'erbe tenere,
Io la vermiglia rosa;
Ed i miei fidi Zeffiri
Meco conduco ognor,
Per riaprire i calici
De' nuovi e pinti fior.
Colline e prati adornansi
Per me d'un vago ammanto;
Io so agli uccelli infondere
Nuovo desìo del canto;
La cingallegra stridula
Grida partendo a vol;
Trilli, volate, tremoli
Fà il Musico Usignol.
È terra e Ciel salutano
Il mio ritorno adesso;
Del giugner mio rallegrasi
Ancora il bruto istesso.
Dunque Stagion gradevole,
No, più di me non v'é;
E voi compagne amabili,
Siete inferiori a mè.
ESTATE
Ti vanti, o amica florida;
Nè condannarti ardisco.
Ma io, più assai pregevole,
L'utile al bello unisco.
Chè mentre fo risplendere
D'un bel zaffiro il ciel,
Le bionde spighe ondeggiano
In preda al venticel.
Dardeggia il Sol più fulgido
Per me coi raggi ardenti;
Piove quaggiù più limpidi
Di luce i suoi torrenti.
Manda la luce argentea
A notte il suo chiaror,
Che splende ognor dall'etere
Amico ai mesti cor.
Al mio calor coloransi
Belli e variati frutti;
È ver che spesso languono
Per il soverchio ardor,
Ma poi la stilla tremola
Rende il natìo vigor.
Qual ne' miei dì vaghissima
L'Alba non sorge mai ;
Non mai più bel Crepuscolo
Vedon dell'uomo i rai.
Chi dunque il vanto adesso
A me negar potrà?
Ogni bellezza e pregio
Racchiuso in me si stà. -
AUTUNNO
Non di bei fiori gli effluvii
A me largì Natura;
Ma diemmi un vento tiepido,
Aria serena e pura;
Sicché mi braman gli uomini
Con ansietà talor,
E dolcemente godono
De' molti miei favor.
I saporosi grappoli
Pingo a rubino ed oro;
Ed i pastor cantano
Giulivamente in coro.
Frutti di varia specie
Perfezionare io so,
E profondendo doni
Sovra il Creato io vo.
Ora che insieme unite,
O Primavera, o State,
Le nostre vere e proprie
Bellezze abbiam cantate,
Vediamo il Verno rigido
Di sè che puó mai dir.
Taciam, Compagne ei parla
Deh! Stiamolo ad udir!
INVERNO
Di me ridete? - oh! stolide!
Forse non ho i miei pregi?
Forse non evvi noto
Che il Sommo Re dei regi,
Fra li miei geli frigidi
Aver la vita amó,
È ne' miei dì il primiero
Vagito suo mandó?
Poi, se le nevi premono,
Compagne mie, la terra,
L'ascoso germe allora
Puó sviluppar sotterra;
E al tuo ritorno amabile
Cara Stagion dei fior,
Picciole piante e tenere
Già compariscon fuor.
Or dunque, Amiche, é inutile
Il biasimare altrui.
Ognuno, a me credetelo,
Ognuno ha i pregi sui.
Quei che dal nulla al tutto
Di vita il fonte aprì
Quaggiù a ciascun benefico
I doni suoi largì. -
Senza data
Presumibilmente venne scritta durante gli studi al Conservatorio S.Anna di Pisa che Maria Virginia Fabroni frequentò da aprile 1862 a settembre 1868.
Or dunque, Amiche, é inutile
Il biasimare altrui.
Ognuno, a me credetelo,
Ognuno ha i pregi sui.
Quei che dal nulla al tutto
Di vita il fonte aprì
Quaggiù a ciascun benefico
I doni suoi largì. -
Senza data
Presumibilmente venne scritta durante gli studi al Conservatorio S.Anna di Pisa che Maria Virginia Fabroni frequentò da aprile 1862 a settembre 1868.
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